lunedì 31 marzo 2008

FREE TIBET


Fonte: Asianews

Dal Blog di Beppe Grillo


Se gli Stati Uniti avessero invaso il Messico. Se la Francia avesse occupato l'Algeria. Se l'Australia avesse dichiarato guerra alla Papua Nuova Guinea. Se il Giappone avesse annesso la Manciuria. Se l'Italia tornasse di nuovo in Libia con le cannoniere.Se tutto questo fosse successo nell'anno delle Olimpiadi negli Stati Uniti, in Francia, in Australia, in Giappone, in Italia. Le Olimpiadi si sarebbero tenute lo stesso in questi Paesi? In nome di cosa? Del WTO? Della globalizzazione? Del consumismo?Il Governo italiano ha calato i pantaloni alla marinara di D'Alema (nessuno pensava che avrebbe fatto diversamente).


L'umanità ha un debito enorme nei confronti del Tibet, della sua cultura, dei suoi abitanti. Lo ha lasciato solo per quasi sessant'anni in nome della realpolitik. Un comportamento semplice da capire. Se sei grosso puoi invadere, distruggere, sterminare. Se sei piccolo e hai il petrolio, allora sono c...i tuoi. Cecenia docet. Iraq ridocet.
Il blog lancia oggi una petizione al segretario dell'Onu per un Tibet libero.
Inviate il messaggio:
"Free Tibet. Stop to the China Olympic Games"
al segretario delle Nazioni Unite e diffondete l'iniziativa.
La ruota del samsara vi premierà.

DiffondiFree Tibet


sabato 29 marzo 2008

MOZZARELLA

Dal Blog di B.grillo:

di G. F.
Caro Beppe,alcune tristi considerazioni in merito alle ultime notizie apparse sulla questione delle "mozzarelle campane".Il ministro De Castro dichiara che "non esiste un caso diossina in Campania". "In Italia c'è un livello duplice di controllo che assicura la qualità dei nostri cibi. Non ci sono sistemi di controllo straordinari, si tratta di normali monitoraggi. I casi sono pochi e sono già stati isolati: 83 allevamenti su 1.900".Non solo, secondo quanto riferito dal portavoce della Commissione Europea "L'Italia dice tra l'altro che le mozzarelle contaminate non sono state esportate nè in Asia, nè in alcuno dei Paesi membri della Ue".Bene:(1) 83 allevamenti hanno prodotto mozzarelle avvelenate con diossina e secondo il ministro delle politiche agricole il dato è trascurabile! Sarebbe interessante capire quante mozzarelle sono state prodotte e quante persone se le sono mangiate!(2) Dato confortante per le nostre importazioni, le mozzarelle avvelenate ce le siamo mangiate noi italiani. Quindi possiamo stare tranquilli!(3) Da ultimo, cosa ancor più rilevante, sarebbe utile capire se il Ministero della Salute Pubblica, a seguito dell'inchiesta di Report su RaiTre sull'avvelenamento da liquami industriali delle falde e dei pozzi nella zona di Acerra, stia conducendo o meno (e se sia obbligato a farlo vista la gravità della denuncia) un'indagine speciale sugli ulteriori e ben più gravi avvelenamenti sui prodotti agricoli coltivati in tale zona e venduti in tutta Italia.Dall'inchiesta emerge una situazione che definire catastrofica è riduttiva. Pertanto, mi sembra estremamente riduttivo l'approccio dei media che si focalizza esclusivamente su quattro mozzarelle bloccate all'aeroporto di Tokio!Un saluto

lunedì 17 marzo 2008

RISORSE NATURALI: DA BENE COMUNE A BENE PRIVATO

LE RISORSE NATURALI, ossia quelle “…minerali, vegetali e animali,
che come materie prime sono alla base di ogni processo di trasformazione, nella civiltà industriale hanno smesso di essere patrimonio comune dell’umanità, beni del creato, manufatti di Dio, e sono diventate bene privato, strumento primario del capitalismo selvaggio.
Non senza darsi anche una “giustificazione morale del capitalismo selvaggio” che, secondo Israel Kirzner, un importante esponente della scuola austriaca di economia e professore alla New York University, risiede in una diversa concezione delle risorse e dei prodotti.
Le risorse, secondo tale scuola, non possono essere considerate disponibili né possono essere definite “bene comune” o “patrimonio comune dell’umanità”, ma esistono solo perché “scoperte” e sono scoperte dalla decisione di un imprenditore o da una multinazionale che ne diventa in qualche modo il “creatore”.
Con questo modello di sviluppo che non ha una sua centralità nell’opera delle mani di Dio e cioè l’uomo, la terra e gli esseri viventi, il Creato, e con una politica dello sviluppo caratterizzata dal “nomadismo per profitto” che ha la sua migliore espressione nelle nomadi per eccellenza, le multinazionali, si instaura tra l’uomo e la terra un ordine basato sullo sfruttamento, sulla divisione, la separazione, il divoramento: il figlio (Adam) si scosta dalla madre, la terra (Adamah) che gli dà tutti i suoi frutti e la divora, la sfrutta, la consuma, la spreca.
Scompare il legame intimo che lega l’uomo (Adam) e la sua terra (Adamah) e da cui egli trae il suo stesso nome portandovi quindi iscritta la vocazione di una stessa famiglia.
E scompare anche il legame tra l’uomo e la sua storia, tra l’uomo e la sua cultura: eleheh, la terra, nella lingua degli indiani Cherockee, ad esempio, significa anche storia, cultura, religione ed ha la stessa radice del mesopotamico el, che in ebraico diventerà Elohim, il Creatore, colui che dà la luce e che come il sole el fa esistere.
Allontanandosi dalla sua vera matrice, la terra, anche la storia e la cultura diventano espressione di un ordine cannibale. Il giusto equilibrio pensato e voluto dal Creatore viene fatalmente invertito dalla storia umana. L’inversione del racconto della creazione la si ritrova anche nell’Esodo quando si parla delle piaghe d’Egitto.
Le piaghe d’Egitto possono essere oggi le piaghe di un Nord del mondo arrogante e opulento come l’Egitto del Faraone.
Come allora solo da quei fatti, dalle piaghe, il faraone capì, così anche oggi il Nord solo da questi fatti, dalle catastrofi ecologiche, sembra capire di dover cambiare rotta al suo modello di sviluppo”.(G.Martirani-Dal deserto globale al giardino universale. S.H.Schneider, La strategia della Genesi.)

Tibet: è morto lo spirito olimpico


Dal portale di YAHOO:

Eurosport - lun, 17 mar 17:29:00 2008

La crisi tibetana sfociata nelle manifestazioni e nel sangue di Lhasa ha messo in crisi il movimento olimpico, tanto che il CIO ha ammesso che svariati atleti starebbero considerando il boicottaggio dei Giochi di Pechino.

"Quest'anno il popolo cinese aspetta con orgoglio e impazienza l'inaugurazione dei Giochi Olimpici. Fin dall'inizio ho approvato l'idea che alla Cina fosse concessa la possibilità di ospitare le Olimpiadi sul proprio suolo. Poiché simili importanti eventi internazionali e a maggior ragione le Olimpiadi celebrano i principi della libertà di parola, libertà di espressione, eguaglianza e amicizia, la Cina dovrebbe dimostrare di essere una buona padrona di casa concedendo queste libertà.

Pertanto, oltre a inviare i propri atleti alle Olimpiadi, i Paesi della comunità internazionale dovrebbero rammentare al governo cinese l'importanza di queste cose".
Le parole pronunciate dal Dalai Lama giusto una settimana fa riecheggiano come tuoni dopo il weekend di paura e sangue a Lhasa, giorni in cui il sentimento olimpico crescente nel cuore di tutti gli sportivi è stato ferito. La capitale tibetana è ormai presidiata dalle truppe cinesi e le agenzie di stampa internazionali parlano di un centinaio di morti durante gli scontri seguenti alle manifestazioni anti-han dei monaci.

La voce dell'astensione olimpica inizia a diventare insistente, tanto che il vice-presidente del Comitato Olimpico Internazionale Thomas Bach ha ammesso che molti atleti starebbero "valutando se boicottare" i Giochi di Pechino, ma ha voluto anche sottolineare come "siamo dell'opinione che le Olimpiadi aiuteranno la Cina ad aprirsi".

Un appello arriva poi dalla portavoce del CIO Giselle Davies: "Condividiamo il desiderio mondiale di una soluzione pacifica delle tensioni degli ultimi giorni nella regione tibetana. Speriamo che la situazione possa tornare tranquilla il più presto possibile".

Il problema del Tibet è una questione che non può non essere affrontata dalla comunità internazionale, soprattutto in quest'anno olimpico. Le manifestazioni "Free Tibet" si sono moltiplicate domenica nelle capitali europee facendo trasparire un sentimento comune dell'Occidente contrario alla politica di repressione culturale cinese.

"Davvero, dico davvero, vorrei supportare il presente leader cinese Hu Jintao nel comune slogan di sostenere e creare un'armonia sociale". La preghiera del Dalai Lama muore nelle sorde orecchie di Pechino, una capitale che si appresta a diventare il faro planetario dello sport. Già, lo sport, ma quali erano i suoi principi?

Luca Stacul / Eurosport

domenica 16 marzo 2008

LIBERTA' PER IL TIBET !


Il Dalai Lama, la guida spirituale del Tibet, che vive in esilio in India, ha chiesto un'inchiesta per verificare l'esistenza di un genocidio culturale in Tibet e si è detto impegnato per ottenere l'autonomia della sua regione dentro la Cina. Ma ha accusato Pechino di contare solo sulla forza per raggiungere la pace.
La suprema guida spirituale del Tibet ha detto anche che la Cina merita di ospitare i Giochi olimpici, ma la comunità internazionale ha la responsabilità morale di ricordare alla Cina e a Pechino di comportarsi bene.

( Reuter del 16.03.'08)


Il Presidente della Cina Hu Jintao che 18 anni fa scatenò l'esercito nella repressione delle rivolte in Tibet così si è espresso sul Dalai Lama: ”..Il Dalai Lama non può essere accettato: è una autorità spirituale indipendente…”

Sul Corriere del 16.03.2008
è stato pubblicato questo interessante articolo di Franco Venturini:


LA STRAGE IN TIBET E L’OLIMPIADE
La vittoria dell’ipocrisia


Sette anni fa, quando il Comitato olimpico assegnò a Pechino i Giochi 2008 senza incontrare l’opposizione dei governi occidentali, il Tibet era già prigioniero del pugno di ferro cinese. Era già in atto la repressione dei costumi, della cultura e della religione dei tibetani. Il Dalai Lama batteva già le strade del mondo chiedendo solidarietà. E la Cina, anche fuori dal Tibet, era già sul banco degli imputati per le sue reiterate violazioni dei diritti umani. Fu, quella del 2001, una scommessa audace. Se tutto fosse andato secondo le intenzioni (e secondo le promesse di Pechino) le Olimpiadi avrebbero aperto ampi varchi nella Grande Muraglia del regime comunista, milioni di stranieri sarebbero giunti a scuotere l’ordine costituito e il suo isolamento informativo, si sarebbe prodotta, insomma, una poderosa spinta verso quella democratizzazione interna che l’economia semicapitalista non era riuscita a innescare. Gli avvenimenti in Tibet, e non soltanto in Tibet, dimostrano oggi quanto temerario sia stato per l’Occidente concedere alla Cina una cambiale in bianco.
A Lhasa la violenza contro gli indifesi ha resuscitato i fantasmi della Tienanmen. Un centinaio di giornalisti e di internauti troppo curiosi langue in carcere a Pechino a in altre città. La preparazione dei Giochi si è tradotta in una nuova forma di lavori forzati per molte migliaia di operai migranti. E’ stato predisposto per le Olimpiadi un codice di condotta che esclude ogni minima manifestazione di dissenso e stabilisce persino qual è il modo migliore di applaudire. Il bilancio della scommessa, anche calcolando i rari aspetti positivi (come la lotta all’inquinamento), è sin qui ampiamente in rosso. E il Tibet che tenta di resistere all’assimilazione forzata lo ha fatto diventare rosso sangue. Eppure non crediamo, come Steven Spielberg e parecchi altri, che sia giunto il momento di decidere il boicottaggio delle Olimpiadi di Pechino. Accostare le violazioni cinesi dei diritti umani all’invasione sovietica dell’Afghanistan (che portò a qualificate assenze in occasione dei Giochi di Mosca) significa ignorare quel cinico codice internazionale che distingue tra «affari interni» e violazione della sovranità di un altro Stato.
Poco realistico è anche trascurare i colossali interessi economici in ballo, nei rapporti con la Cina e nella specifica occasione olimpica. Ma soprattutto — ed è questo per noi l’unico motivo dirimente — un boicottaggio annunciato cinque mesi prima dei Giochi umilierebbe la Cina, farebbe esplodere il suo nazionalismo e si tradurrebbe in repressioni ancora più dure di quelle in atto. Crediamo piuttosto, anche in queste ore che alimentano il dolore e l’indignazione, che resti valida la strategia del «coinvolgimento» che ispirò l’assegnazione delle Olimpiadi, perché in Cina come altrove soltanto seguendo il doppio binario del dialogo e delle pressioni si può sperare di modificare una realtà inaccettabile. E qui arriviamo al problema vero: esistono, e sono adeguate, le pressioni che vengono esercitate su Pechino? Non ci pare. Da molti anni, negli incontri ad alto livello tra dirigenti cinesi e occidentali, il richiamo al rispetto dei diritti umani è diventano un rito vuoto e sgradito.
L’Europa a parole fa la sua parte, ma poi Solana precisa che andrà volentieri a Pechino. L’America in campagna elettorale si copre le spalle, ma anche Bush sarà ai Giochi e per facilitargli il viaggio la Cina è stata tolta dall’elenco dei cattivi diffuso pochi giorni addietro dal Dipartimento di Stato. Il boicottaggio dovrebbe essere un’arma estrema, da tenere in riserva e da far pesare. Ma quando i biglietti per Pechino vengono già staccati da chi dovrebbe agitare il bastone, non rimane che rassegnarsi: le Olimpiadi saranno una grande festa di sport e una festa ancor più grande di ipocrisia.
--------------------------------------------

Con questa premessa oggi dobbiamo domandarci cosa sono le Olimpiadi.
A mio avviso rappresentano un grande business dove lo “sport professionistico” viene utilizzato come cassa di risonanza e strumento di propaganda per determinati obiettivi politici ed economici.
Diventa complicato boicottare le Olimpiadi di Pechino.
Diventa complicato, per un paese, decidere di non mandare la propria rappresentanza sulla base del fatto che in Cina non si rispettano i diritti civili, non c’è libertà di pensiero, di religione, di cultura.
Diventa complicato perché significherebbe rimettere in discussione i legami economici intessuti in tutti questi anni dalle imprese, dalle multinazionali, dai governi occidentali.
Anche in Cina l’Occidente ha cominciato a delocalizzare il suo apparato produttivo, i grandi marchi pure e ciò per avvantaggiarsi della mancanza di regole che permettono di far di tutto ( anche a prescindere dall’impatto ambientale ) e di usufruire di manod’opera a basso costo, ( manod’opera che spesso comporta l’impiego di bambini, utililizzati a pieno ritmo nella produzione di beni di consumo poi smerciati in Occidente a prezzi esorbitanti, con evidenti immensi profitti per le imprese).
Sulla base di ciò l’Occidente diventa complice della Cina, come di altri paesi con cui intrattiene questo tipo di “affari”; così facendo sacrifica i diritti delle popolazioni e sostiene un mercato privo di etica.

Contemporaneamente ciò produce una erosione degli stessi diritti che le popolazioni occidentali si sono conquistati, con dure lotte, nel campo del lavoro e del Welfare.

-------------------------------------

" Repubblica" 16.03.'08,
F.Rampini:

Riesplode la "polveriera" Tibete la Cina rivive l'incubo dell'89 ".

Sulla pacifica protesta dei monaci tibetani è scattata feroce la repressione cinese: dagli ospedali di Lhasa giungono notizie di numerosi morti e feriti. La capitale è in stato d'assedio e sotto coprifuoco, tutti i principali monasteri buddisti della regione sono circondati da reparti della polizia antisommossa. È la più grande rivolta popolare in Tibet dal 1989, un anno di infausta memoria: allora il plenipotenziario del partito comunista cinese a Lhasa era Hu Jintao, oggi presidente della Repubblica popolare. Hu Jintao l'8 marzo 1989 non esitò a dichiarare la legge marziale e a scatenare l'esercito contro la popolazione indifesa. Si acquistò i galloni dell'uomo forte, i suoi metodi servirono da prova generale per il massacro di Piazza Tienanmen tre mesi dopo. Sono passati quasi vent'anni ma il Tibet non ha mai smesso di essere una polveriera dove si accumulano le tensioni create dalla politica di "assimilazione forzata". La fiammata di questi giorni può sembrare improvvisa e inaspettata, in realtà da mesi si segnalavano episodi di protesta nei monasteri, arresti, deportazioni e torture dei religiosi fedeli al Dalai Lama. C'è una logica stringente dietro questa escalation. Una maggioranza dei tibetani continua a considerare illegittima l'invasione dell'armata maoista che nel 1950 ha annesso il loro territorio. Sentono che il tempo gioca contro di loro, per l'invasione continua di immigrati "han" (l'etnia maggioritaria cinese) che sconvolge gli equilibri della popolazione locale e ne snatura l'identità culturale. …..
Ora o mai più: è il sentimento che ha spinto molti tibetani a scendere in piazza. C'è la speranza che nell'anno delle Olimpiadi, con gli occhi del mondo puntati su Pechino, Hu Jintao avrà qualche esitazione prima di ordinare una nuova carneficina. Per gli occidentali la politica cinese in Tibet appare non solo ignobile ma anche assurda. Con realismo e moderazione, il Dalai Lama ha smesso da decenni di rivendicare l'indipendenza e chiede solo una ragionevole autonomia. Basterebbe applicare al Tibet il sistema in vigore a Hong Kong: porre dei limiti all'immigrazione dal resto della Cina, consentire forme di autogoverno per preservare la fisionomia culturale e proteggere l'ambiente naturale, pur lasciando a Pechino le competenze in materia di politica estera e difesa. Ma anche un modesto federalismo appare al regime cinese come una concessione intollerabile, destabilizzante. Pechino continua a bollare il Dalai Lama come un "secessionista" con cui è impossibile dialogare. La paura che provano i tibetani è, specularmente, la certezza di Hu Jintao: il fattore tempo gioca in favore della Cina. Con 3,8 milioni di km quadrati di superficie, quanto l'Europa occidentale, il Tibet occupa un terzo della Repubblica popolare ma i suoi sei milioni di abitanti sono appena lo 0,5% dei cinesi. Lo squilibrio demografico è immane, è difficile resistere alla "sinizzazione". Il regime può contare anche su un consenso reale fra la maggioranza dei cinesi sulla questione tibetana. Imbevuti di nazionalismo fin dalle scuole elementari, imparano sui manuali di storia solo la versione della propaganda ufficiale: il Tibet è "sempre" appartenuto alla Cina; dietro le velleità di autonomia ci sono forze che vogliono indebolire la nazione, proprio come nell'Ottocento e primo Novecento quando gli imperialismi occidentali e giapponese "amputarono" l'Impero Celeste di pezzi di territorio, da Hong Kong alla Manciuria. Nazionalismo cinese, superiorità demografica, sviluppo economico, sono i rulli compressori che lavorano ad appiattire il Tibet. Mentre la nuova ferrovia rovescia fiumane di "coloni", vasti quartieri di Lhasa già hanno subito uno stravolgimento: ipermercati, shopping mall di elettronica, banche e uffici turistici sono gestiti prevalentemente dai cinesi han, più istruiti e abili negli affari. Lo stesso turismo di massa violenta l'anima dei luoghi: il Potala Palace, ex dimora del Dalai Lama trasformato in museo, è circondato dai torpedoni, invaso da comitive cinesi volgari e arroganti. Eppure dietro la sicumera di Hu Jintao traspare il germe di un dubbio. L'incapacità di aprire un dialogo col Dalai Lama rivela un'insicurezza. Il partito comunista cinese non accetta che dentro la società civile vi siano movimenti organizzati, autorità alternative. I culti religiosi sono stati autorizzati dopo la fine del maoismo ma sono sottoposti a controlli stringenti, indottrinamenti politici, obblighi di fedeltà assoluta al governo. La figura del Dalai Lama è inaccettabile perché è un'autorità spirituale indipendente. Al di fuori del Tibet la Cina ha altri 150 milioni di buddisti praticanti: guai se dovesse insinuarsi nel resto del paese l'idea che la religione può diventare il tessuto connettivo di una società civile autonoma. Tra gli incubi della nomenklatura c'è lo scenario Solidarnosc, proiettato in versione buddista. Nonostante le sue fobie totalitarie, la classe dirigente cinese gestisce tuttavia una superpotenza fortemente integrata nelle relazioni internazionali. La Repubblica popolare è membro permanente del Consiglio di Sicurezza Onu, dell'Organizzazione del commercio mondiale; è il principale partner commerciale dell'Unione europea e degli Stati Uniti. Ha l'ambizione di essere un attore responsabile nella governance globale. E' indispensabile che l'Occidente eserciti ogni pressione per far capire a Hu Jintao i rischi che corre in Tibet: vanno ben al di là dei Giochi olimpici. Lo sviluppo con cui i dirigenti di Pechino si garantiscono un consenso reale fra una parte della popolazione, può incappare in serie turbolenze
se la Cina decide di presentarci un volto odioso e minaccioso.

--------------------------
“Avvenire” 16.3.’08,
Vittorio E. Parsi

Chiarire con Pechino prima che sia troppo tardi
Cresce l’imbarazzo nelle Cancellerie occidentali a mano a mano che si diffondono le notizie dell’ampiezza della rivolta tibetana e della violenza della repressione cinese.
Mentre si esprime la speranza che le violenze cessino immediatamente (senza peraltro specificare che è il popolo tibetano a subire da troppo tempo e fin troppo remissivamente la violenza dell’occupazione coloniale cinese), si spera di non rendere troppo esplicito che, in termini di rispettabilità politica internazionale, le regole che valgono per la Birmania non valgono per la Cina.
Quello della violazione sistematica dei diritti umani, peraltro, è solo il caso più macroscopico del trattamento di favore riservato al colosso asiatico. Il mondo tollera che Pechino non rispetti gli standard minimi ambientali e le norme internazionali contro la contraffazione commerciale, che aggiri quelle sui diritti d’autore e che promulghi leggi che definiscono un 'crimine contro la sicurezza nazionale' la 'divulgazione di notizie sul lavoro infantile' (ancorché esse siano veritiere). Ora, pochi milioni di tibetani rischiano di risvegliare il mondo dal suo torpore, costringendolo a chiedersi se l’enorme benevolenza di cui il governo cinese è oggetto non sia eccessiva e controproducente. Questa benevolenza è il frutto dell’idea clintoniana che fosse necessario 'coinvolgere' ( engage) la Cina, piuttosto che affrontarla ( confront). In tal modo, attraverso la sua integrazione, il suo imbrigliamento nel fitto reticolo di istituzioni e trattati multilaterali che costituivano e costituiscono lo scheletro dell’economia globalizzata, la Cina avrebbe gradualmente perduto i suoi tratti autoritari e minacciosi, e il successo del libero mercato avrebbe portato allo sviluppo di una società civile capace, proprio grazie all’apertura internazionale e alle virtù taumaturgiche di Internet, di pretendere sempre più democrazia. Come le cose sono andate finora lo abbiamo visto: Google ha accettato di censurare i propri contenuti per il mercato cinese, la presa del Partito comunista sul potere politico è salda come mai, e Pechino sta sempre più puntando i piedi e alzando la voce su tutta una serie di questioni. I Giochi olimpici, negli auspici della dirigenza cinese, avrebbero dovuto costituire la vetrina universale in cui mostrare il nucleo del messaggio di Pechino al mondo, la radice del suo soft power, espresso in un concetto chiaro quanto, per molti, allettante: crescita economica e autoritarismo politico possono convivere. Ora, quattro «monaci straccioni, agenti provocatori al soldo del Dalai Lama» rischiano di rovinare tutto. L’eventualità del boicottaggio dei Giochi Olimpici, infatti, non può essere esclusa aprioristicamente, tanto più se la repressione dovesse seguire le solite modalità brutali che conosciamo almeno dai tempi della rivolta di piazza Tienanmen. Quello che sta accadendo in Cina in queste ore segna infatti anche l’ennesimo fallimento della strategia dell’engagement. La ragione di un tale risultato si può trovare nella natura particolare della relazione tra potere politico e potere economico in Cina. Il capitalismo cinese, finora, si è sviluppato sotto il ferreo controllo dell’apparato politico dello Stato autoritario, non si è posto come un possibile contropotere, non ha rappresentato nessuna minaccia per il Partito comunista. La stragrande maggioranza dei nuovi manager e dei nuovi miliardari cinesi sono iscritti al Partito. Del resto, anche nella storia europea, ciò che ha rappresentato un baluardo contro il potere politico, non è stato il capitalismo, ma la proprietà privata. In Cina, per nulla paradossalmente, mentre il primo sembra fiorire la seconda non trova una tutela altrettanto efficace, cosa del resto improbabile in un sistema in cui i giudici sono tutto fuorché indipendenti. In termini internazionali, le cose sono poi ancora peggiori, se possibile. La teoria liberale circa la natura pacificatrice dell’apertura economica internazionale, infatti, funziona solo se si immagina che i soggetti economici si muovano come attori indipendenti rispetto ai governi. Ma non è questo il caso cinese, in cui gli attori economici, per quanto di dimensioni cospicue, restano subordinati al potere politico, con il risultato che la Cina capitalista e comunista di domani rischia di restare il monolito della Cina collettivista e comunista dei tempi di Mao, ma incredibilmente più efficiente e quindi più potente. Quello che sta avvenendo con i cosiddetti 'fondi sovrani', che rastrellano titoli e valuta estera sui mercati finanziari internazionali, ma il cui controllo resta nelle mani del governo cinese la dice lunga. Ecco perché è ora di chiarire le cose con il governo cinese, prima che sia troppo tardi, anche a costo di disertare le Olimpiadi di quest’estate.

-----------------------------------------------

NEL 1952 L’INVASIONE DEL TIBET DA PARTE DELLA CINA DI MAO
Da il “Corriere della Sera”. Blog.

“La Cina ha tanta gente. Il Tibet ha tanto territorio. Dunque…”.
Mao Zedong nel 1952, due anni dopo avere spedito l’Esercito Popolare a Lhasa e avere messo a tacere il piccolo Stato indipendente, chiarì subito le sue idee e i propositi che aveva.
La rivoluzione, la lotta di classe, la liberazione dallo sfruttamento non c’entravano proprio nulla con quella terra e con quella povera gente che obbediva all’autorità spirituale del Dalai Lama. Il dittatore-imperatore pensava ad altro: gli premeva riprendersi una regione sulla base di una considerazione storica che faceva addirittura risalire la “proprietà” del Tibet alle dinastie del tredicesimo secolo – stabilendo così nei fatti una continuità fra il suo comunismo e il feudalesimo dell’antichità – e gli premeva pure appropriarsi di un altopiano e di montagne che rappresentavano una insostituibile e formidabile barriera di difesa dalle invasioni nemiche oltre che una riserva di ricchezza naturale (vi nascono i tre grandi fiumi d’Asia, il Gange, il Mekong e lo Yangtze). Mao Zedong per completare il suo disegno doveva però andare oltre alle strategie classiche della occupazione e della colonizzazione, occorreva cancellare molto in fretta ogni traccia di identità culturale e nazionale che non appartenesse alla storia Han, il ceppo etnico cinese. La frase pronunciata dal Grande Condottiero enunciava un programma politico: “quel tanto territorio”, diventava l’oggetto – nel senso più dispregiativo per lui e più lontano da ogni considerazione umanitaria – della sinizzazione del Tibet.
Mao se ne è andato del 1976 e la Cina, si dice, da allora è stata demaoizzata. Via ogni traccia del trentennio rosso. Via tutto, o quasi. E in quel poco o tanto che resta del maoismo – per il filosofo e sinologo francese Francois Julienne la Cina è stata “demaoizzata in nome di Mao” – c’è l’atteggiamento verso il Tibet, divenuto amministrativamente autonomo nel 1965, delle leadership che si sono succedute nella Repubblica Popolare dopo lo smantellamento dell’economia collettivista: repressione delle opposizioni, insediamenti forzati, ribaltamento dei concetti di maggioranza e di minoranza, la maggioranza tibetana che è diventata minoranza, la minoranza han che è diventata maggioranza. Il governo in esilio stima che i “coloni” siano oggi circa 8 milioni contro i 6,5 milioni di indigeni. Poi ci sono gli insediamenti militari: 500 mila soldati cinesi e alcuni basi dotate di testate nucleari. C’è stata una parentesi, negli anni del riformismo di Hu Yaobang, il segretario comunista che tentò di avviare la democratizzazione della Cina. Egli ammise che “il popolo tibetano non ha tratto alcun beneficio dalla nostra presenza”. Hu Yaobang morì prima della rivolta di Tienanmen ma le sue aperture erano già sul punto di fallire sotto i colpi dell’ala conservatrice.
Il Tibet in questi 48 anni è molto cambiato e la stessa semplicità e frugalità del monachesimo buddista ha subito qualche pesante “contaminazione” consumistica alla quale non è di certo estranea la suggestione esercitata dai milioni di turisti (nuova fonte di redditività della Provincia) che si avventurano in cerca di magie sempre più rare. La Cina ha esportato dalle sue grandi città la concezione della modernità intesa come realizzazione di grandi opere-simbolo del nuovo status di potenza acquisito grazie alla forza dell’economia. La sinizzazione è così passata attraverso il progetto della spettacolare linea ferroviaria che dal primo luglio 2006 unisce (per 1142 chilometri), a un’altitudine media di 4 mila metri, Golmud nella Provincia del Qinghai a Lhasa, passando per il tetto dei 5067 metri del passo Tanggula. E sta proseguendo con l’autostrada che dovrebbe portare niente meno che a 5.200 metri del campo base dell’Everest. Il responsabile dell’area del Qomolangma (Everest in tibetano) ha spiegato con queste parole il senso della cementificazione: “L’autostrada è una manna per lo sviluppo locale… gli scalatori potranno risparmiare energie”. No, non scherzava.La torcia olimpica transiterà il 20 e il 21 giugno. Con il suo messaggio di pace. E non solo: la Cina ribadirà al mondo che il Tibet è suo e che le aspirazioni sepratiste sono superate. Che la sinizzazione ha vinto. Come Mao aveva desiderato.

-----------------------------------------------
Arrestato per sovversione Teng Biao
Teng Biao è il secondo fra i promotori dell'appello
"La Cina reale e i Giochi Olimpici".

Un avvocato che è fra i firmatari dell'appello per i diritti umani in Cina è scomparso dal 6 marzo scorso. La moglie ha detto ieri ai giornalisti di avere udito le grida di suo marito, Teng Biao, provenire dalla strada, di essersi affacciata e di avere trovato vuota la sua auto. Una vicina ha testimoniato che l'uomo è stato prelevato di forza da quattro individui delle squadre militari della sicurezza, caricato e portato via. Un sequestro in piena regola. Esattamente come avveniva nel Cile di Pinochet o nell'Argentina dei generali.
Un fatto gravissimo. Teng Biao è il secondo fra i promotori dell'appello "La Cina reale e i GIochi Olimpici" che finisce nella rete della repressione più violenta solo per avere sollecitato il regime a una svolta sulle libertà civili. Era toccato qualche settimana fa a Hu Jia, arrestato per "sovversione".
Che cosa avevano osato scrivere nel documento diffuso nel settembre 2007?
Ecco un passaggio, considerato dalla polizia cinese un attentato allo Stato: "Pechino sta mantenendo le sue promesse (in materia di diritti umani, ndr)?...Quando verrete alle Olimpiadi vedrete grattacieli, strade spaziose, stadi moderni, gente entusiasta... per piacere ricordate che le Olimpiadi si terranno in un Paese dove non ci sono elezioni libere, non c'è libertà religiosa, nessun tribunale indipendente, nessun sindacato indipendente, dove le dimostrazioni e gli scioperi sono proibiti e dove il governo non ha intenzione alcuna di mantenere gli impegni presi a livello internazionale".
Così si finisce in carcere o sequestrati sotto casa, oggi in Cina. Ed è bene che non si dimentichi. Che, soprattutto, non dimentichino coloro (anche in casa nostra) che ogni volta che si parla di Cina e diritti umani sembrano indignarsi perchè di questo straordinario Paese si coglierebbero soltanto gli aspetti negativi. La Cina, in verità, non è soltanto un bel film a colori.
------------------------

dalla "La Repubblica":

“…La polizia ha impedito oggi con la forza ai monaci del monastero di Ramoche di tenere una manifestazione. Attivisti della Free Tibet Campaign riferiscono che alcuni monaci di un altro monastero, quello di Sera, sono da ieri in sciopero della fame per chiedere la liberazione dei loro compagni arrestati nei giorni scorsi, che sarebbero decine. I monasteri di Sera, Drepung e Ganden, al centro delle proteste dei giorni scorsi, sono circondati dalla polizia militare. Circolano voci sulla dichiarazione dello stato d'emergenza, che però non sono state confermate (….). Da giorni Lhasa ospita le proteste dei monaci, le più imponenti degli ultimi vent'anni. Secondo Radio Free Asia decine di persone sono state arrestate anche oggi.

------------------------

Manifestazioni di monaci e civili tibetani,
che inneggiavano al Dalai Lama, il leader spirituale del Tibet che vive in esilio dal 1959,
si sono svolte questa settimana anche in aree a maggioranza tibetana nelle province cinesi del Qinghai e del Gansu. Il dissenso preoccupa gravemente Pechino, che ha cercato in tutti i modi di evitare simili proteste in vista dell'appuntamento dei Giochi Olimpici”.

UNIAMOCI ALLA PROTESTA,
CON I MEZZI CHE ABBIAMO,

PER UN TIBET LIBERO !

giovedì 13 marzo 2008

UNIVERSALISMO RELIGIOSO 3


Baganmyo (Birmania): "Luogo dell'universalismo religioso"




La protesta dei monaci Birmani contro la dittatura dei generali, repressa nel sangue.


UNIVERSALISMO RELIGIOSO 2




Monastero di Sera (Lasha-Tibet): "Luogo di universalismo religioso"


Il Dalai Lama, il capo spirituale dei buddisti tibetani, ha denunciato «le inimmaginabili ed enormi» violazioni dei diritti dell’uomo commessi dalla Cina in Tibet. «La repressione aumenta fino a raggiungere enormi e inimmaginabili violazioni dei diritti dell’uomo, fino alla negazione della libertà religiosa e alla politicizzazione delle questioni religiose», ha dichiarato il Dalai Lama dal suo esilio a Dharamsala, nel nord dell’India, dove si è rifugiato da 49 anni esatti, dopo essere fuggito dal Tibet occupato dai cinesi.

UNIVERSALISMO RELIGIOSO 1


La Certosa di Farneta (Lucca-Toscana-Italia) : un "Luogo di universalismo religioso"
--------------------------------------------------------------------------------------------------
“Seppure in modo assai eterogeneo, le grandi visioni religiose rinviano tutte ad alcuni significati universali” (A.Lo Presti).
“Nel 1993, l’Assemblea delle religioni mondiali ha approvato una “Dichiarazione per un’etica mondiale” nella quale si menziona un tratto universale di tutte le grandi prospettive religiose noto come “REGOLA D’ORO”: In sostanza, è presente in tutti i sistemi l’idea che l’altro, il prossimo, va trattato come se fosse un altro me.
Commenta il teologo Piero Coda: “Per tutti (…) vivere la regola d’oro significa porre la premessa indispensabile perché cadano le barriere pregiudiziali; (…) non si tratta di astratto o utopico idealismo irenico (come non vedere la carica di violenza di cui possono essere portatrici e strumenti le tradizioni religiose?), ma di saper scoprire e far sbocciare, appunto, quest’intrinseca innervatura e vocazione in ogni caso in esse presenti”.
Legittimamente, è possibile rivolgersi la domanda se quanto di comune c’è in tutte le grandi religioni non possa avere pretesa di indicare il percorso storico che l’umanità sta compiendo, in ordine ad una crescente condivisione degli spazi e delle esperienze. A qualificare questi processi sono denominazioni e discipline differenti, per cui spesso si ricorre ai concetti di relazione, di cooperazione, di solidarietà, di interazione, e altri.
Rimane la sostanza di un divenire dell’umanità non più intesa quale mera attribuzione zoologica, ma categoria viva che racconta di una ricerca incessante di unità nelle plurali forme di espressione che in essa convivono.

venerdì 7 marzo 2008

CEMENTO A S.ANNA

Il Comitato “Parco di S.Anna”

informa gli abitanti di Lucca in merito alla costruzione prevista nell’area verde (67.000mq) compresa fra via Einaudi e via del Bozzo.

300 appartamenti in 8 palazzi di 7 piani ciascuno • (tutti con ingresso e uscita da via del Bozzo, previsto un incremento di 600/800 macchine al giorno)

un albergo di 7 piani •

un megacentro commerciale multidirezionale • (di propor­zioni gigantesche)

un secondo centro commerciale di dimensioni più ridotte •

un edificio per multisala cinematografica•

un distributore di carburante • (che comporterà la chiusura del pozzo d’acqua potabile al quale sono allacciate le abitazioni della zona.)

Questo mega-progetto, se verrà realizzato, por­terà ad uno smisurato incremento del traffico in una zona già fortemente ingolfata.

A ciò si aggiunga la prevista realizzazione della strada che dal Brennero convoglierà in via Einaudi i 700 e oltre camion che giornalmente transitano per Via Sa­licchi, e il centro di smistamento merci, già costruito prima del cavalcaferrovia che porta alle Autostrade, che prevede la bellezza di oltre 5000 mezzi a settima­na: sarà paralisi totale.

Tutto ciò comporterà la perdita definitiva dell’area verde per non parlare dell’inquinamento acustico e da polveri sottili (PM10). Se poi i palazzi saranno costruiti di sette piani, sarà un precedente che darà il via libera per tutta la piana, così che dalla passeggiata unica al mondo “le Mura di Lucca” fra qualche anno non vedremo più le colline che circondano la nostra bella città, ma una nuova cinta muraria di cemento.

Adesso crediamo sia giunto il momento di agire in concreto. Chiediamo a tutti i politici che hanno accol­to le nostre richieste, di esprimersi in Consiglio Co­munale per un drastico ridimensionamento del pro­getto, almeno il 50%, tenendo conto che il progetto adottato dal commissario straordinario non rispetta nel modo più assoluto la quantità di verde pubblico indicata nella scheda grafica del regolamento urba­nistico (PN5).

Chiediamo inoltre la stesura di un nuovo piano regolatore che impedisca questi scempi in fu­turo e sancisca il rispetto del territorio ridise­gnando il progetto di una città a misura d’uomo quale Lucca è sempre stata.

Ci rivolgiamo a tutte le persone che hanno a cuore la nostra città
contattateci: più siamo più contiamo
non pensiamo sempre “tanto non c’è niente da fare”, perchè non è vero e i fatti lo dimostra­no. Se siamo numerosi e uniti abbiamo concrete possibilità di ottenere dei risultati per noi e per i nostri figli.

Questo progetto enorme deve ancora esse­re approvato definitivamente dal Consiglio Comunale!
Aiutiamoli a decidere per la salvaguardia dell’ ambiente e la salute dei cittadini.

Il Comitato.
e-mail
comitato.parco.s.anna@tele2.it Blog
http://comitatoparcosanna.spaces.live.com

giovedì 6 marzo 2008

DUE ORE DI LUCIDITA'. NOAM CHOMSKY.

Noam Chomsky è un linguista americano, professore al Massachusetts Institute Tecnology. Considerato un “agitatore” politico, noto come “libertario” e “radicale”.
Ha sviluppato idee come queste:

- “ Più un gruppo è potente e più promuove uomini politici asserviti ai propri interessi”

-
“ La cosiddetta oggettività dei commenti sociali – servizi televisivi, analisi politiche, notizie flash alla radio – nascondono presupposti e principi ideologici che crollano non appena vengono snascherati”

- “
Non bisogna credere alle idee preconfezionate e a qualcuno sulla parola. Non bisogna dare niente per scontato. Occorre verificare, riflettere. Pensare con criteri propri, liberarsi da quanto già si sa. Non voglio portare la gente a credermi, non più di quanto vorrei che seguisse la linea del partito, o quelli che vado denunciando: autorità universitarie, media, propagandisti confessi o meno dello Stato. Parlando e scrivendo cerco di mostrare ciò che credo vero: basta un po’ d’impegno e usare l’intelligenza per per imparare molte cose su quello che il mondo politico e sociale ci nascondono. Ho la sensazione di aver ottenuto qualcosa quando la gente accetta la sfida e decide di imparare da se”

-
“La massa viene sviata verso mete inoffensive grazie ad una gigantesca propaganda orchestrata e animata dalla comunità del bisness che investe enormi capitali ed energie per convertire la gente in consumatori atomizzati – isolati gli uni dagli altri, senza la minima idea di quella che potrebbe essere una vita decente – e in docili strumenti di produzione. L’obiettivo che viene perseguito è lo schiacciamento dei sentimenti umani comuni, incompatibili con un’ideologia al sevizio dei privilegi e del potere, che celebra nel profitto individuale il valore supremo”

Noam Chomsky con mente libera, impertinente e pertinente, esprime le sue riflessioni su qualunque argomento, per esempio – sul potere dei banchieri – sull’eccessiva autonomia delle banche centrali – sull’oligarchia finanziaria ed economica – sull’interesse economico nel privilegiare la guerra rispetto alla diplomazia, sul terrorismo americano, sul ruolo nuovo e strategie occulte delle multinazionali – sui codici mediatici usati a fini propagandistici – sul ruolo degli intellettuali nella democrazia –sul bisogno vitale di tenersi informati -

Le sue riflessioni combattono tantissimi luoghi comuni e rendono più libere le persone

mercoledì 5 marzo 2008

"LOTTO ZERO" : CI RISIAMO !!!


IL RISCHIO E’ CHE
NON AVENDO ANCORA RISOLTO IL PROBLEMA INFRASTRUTTURALE LUCCHESE
CON IL PdL AL GOVERNO

VENGA TIRATO FUORI DAL CASSETTO
( DOVE L’EX CENTRO SINISTRA L’ HA DEPOSITATO)
IL “LOTTO ZERO”

COMUNE E PROVINCIA
NON AVREBBERO VOCE IN CAPITOLO NELLA QUESTIONE


POICHE’ IL PROGETTO SAREBBE CONSIDERATO STRATEGICO E BLINDATO DALLA SOPRAVVISSUTA LEGGE OBIETTIVO ( LUNARDI )

LA REGIONE HA PERSO IL RICORSO CONTRO IL PROGETTO DI SISTEMA TANGENZIALE LUCCHESE COSI’ COME PRESENTATO DALL’EX GOVERNO BERLUSCONI

LE DICHIARAZIONI DEL PRESIDENTE PERA
NON SONO QUINDI UNA “ BOUTADE “

LE PROMESSE DI FAVILLA
NON BASTEREBBERO A FERMARE L’INTERVENTO VOLUTO DALL’EVENTUALE PROSSIMO GOVERNO DEL PdL, IN GRADO DI DECIDERE AUTONOMAMENTE DAGLI ENTI LOCALI.

martedì 4 marzo 2008

APPELLO DI ALEX ZANOTELLI PER IL GIORNALISTA PAOLO BARNARD

Rimango esterrefatto per quanto è avvenuto al giornalista Paolo Barnard abbandonato a sé stesso dalla RAI e dalla stessa Milena Gabanelli, la conduttrice di Report.Ho sempre ammirato il lavoro giornalistico di Paolo Barnard. Penso che le sue puntate su Report siano le più belle del giornalismo italiano.Ora Paolo Barnard è stato portato in tribunale per la puntata ( "Little Pharma & Big Pharma ") del 11/10/2001 e ripetuta, su richiesta del pubblico, il 15 /02/ 2003. Per quella inchiesta la RAI e la Gabanelli furono citati in giudizio il 16/11/2004. Nonostante le assicurazioni da parte della RAI, Paolo Barnard è ora abbandonato al suo destino.Questo è un comportamento a dir poco criminoso. E questo non solo perché tocca a Paolo Barnard , ma perché vengono così messi a tacere tanti giornalisti che troveranno così sempre più difficile fare giornalismo serio.So che sempre più telegiornali sia della Rai che di Berlusconi escono con notizie decurtate dagli uffici Affari Legali delle rispettive aziende.Questo anche per la stampa e radio. Chiedo che gli editori difendano i loro giornalisti che rischiano per il pubblico interesse, e che si impegnino a togliere le clausole di manleva dai contratti che gli stessi giornalisti sono obbligati a firmare. Questo bavaglio ha e avrà sempre più potere paralizzante sulla denuncia dei misfatti italiani a mezzo stampa o Tv. Questa è una lotta per la libertà di stampa , colonna portante di qualsiasi democrazia. Alex Zanotelli

COMMENTO DI GHERARDO COLOMBO SU CENSURA LEGALE.
Ho seguito con attenzione il dibattito Barnard - Gabanelli sui limiti della tutela legale che la RAI garantisce ai propri collaboratori. Non voglio entrare nel merito della vicenda specifica, che del restoè stata rappresentata attraverso il contraddittorio dei due protagonisti in modo che ciascuno è in grado di farsene un'opinione, e ciò a prescinder e dal giudizio del Tribunale di Roma sulla lesività o meno del contenuto dell'inchiesta nei confronti di chi se n'è sentito offeso.Ma mi interessa molto il problema che dalle dichiarazioni di entrambi i giornalisti sembra affiorare: quello della censura indiretta verso l'informazione, magari approfondita e veridica, ma proprio per questo spesso scomoda, che si attua semplicemente utilizzando il timore dei giornalisti di essere non tanto chiamati a rispondere della correttezza del loro lavoro, ma costretti a sostenere da soli tutte le speselegali a ciò necessarie, trovandosi magari paradossalmente contrapposti allo stesso ente che liberamente si è avvalso dei loro reportages. Emerge che questa censura non ha bisogno neppure di dichiarazioni o di dinieghi, perchè si maschera dietro un meccanismo legale capace di far leva sul timore delle conseguenze personali e familiari che un'inchiesta o un reportage può innescare; si avvale più o meno consapevolmentedi autolimitazioni, del buon senso che spinge soprattutto chi tiene famiglia a chiedersi se ne valga la pena.Mi viene in mente che ad analoghi risultati in termini di carenza di completezza e libertà di informazione può condurre il diffuso precariato anche nel mondo giornalistico.Mi chiedo se stante la centralità del ruolo dell'informazione per l'effettività di una società democratica, dove la chiave del potere di scegliere sta nella nella reale possibilità di conoscere, non sia il momento di dare statura costituzionale a regole essenziali che garantiscano l'indipendenza dell'informazione, che mi pare sia divenuta, con l'esplosione dei mass media, una guarentigia non meno importante di quella dell'ordine giudiziario, perchè è pur sempre di controllo dell'esercizio del potere nelle sue più varie forme di espressione che si tratta.Forse la migliore risposta al dibattito in atto tra due persone molto stimate nella società civile, e alle domande che in molti si sono sollevate, sarebbe un approfondimento propio televisivo del tema, una riflessione sincera su quanto il motivato timore dei singoli, stanti le regole del sistema, finisce per pesare sulla dose di verità e completezza dell'informazione RAI; e non solo. Gherardo Colombo