martedì 29 gennaio 2008

BUFFONE MASTELLA

ABBIAMO RICEVUTO QUESTA E-MAIL, LA PUBBLICHIAMO COME POST.

BUFFONE MASTELLA

Se un politico non mantiene le promesse fatte ai propri elettori, non attuando cio' che si era proposto di fare durante il suo mandato, non e' reato additarlo come un 'buffone'. Non si tratta, infatti, di critiche alla persona ma al suo operato politico-amministrativo. La Cassazione così si è recentemente espressa.

In tal senso chi più di Mastella può essere definito buffone? Nessuno. Mastella rappresenta il massimo dei buffoni oggi presenti in Italia, avendo tradito il mandato che gli elettori gli avevano affidato, con la sciagurata iniziativa di far cadere il Governo da essi scelto, di cui Mastella faceva parte.

Premesso ciò, da qualche tempo la Banca d’Italia ha accertato che dal 2000 al 2006, i redditi dei lavoratori dipendenti sono rimasti praticamente fermi ( + 0,3% ) anzi, hanno perso il loro potere di acquisto poiché i prezzi, il costo della vita è aumentato, infatti, per esempio, i redditi dei lavoratori autonomi sono aumentati del 13,1%, senza contare i costi delle bollette e delle varie tariffe che sono andate ben oltre tale aumento.
C’è quindi una grande sofferenza della categoria , variamente articolata ( comprensiva dei precari ), dei lavoratori dipendenti.
Di questa cosa, che ha dei riflessi negativi anche sull’economia, poiché se il cittadino non ha soldi, non spende e quindi non consuma e quindi non contribuisce allo sviluppo del paese, se ne sono accoti anche alcuni poteri forti.
Se ne sono accorti Confindustria con Montezemolo e la Banca d’Italia con Draghi; essi hanno infatti sottolineato la neccessità di adeguare i redditi troppo bassi dei lavoratori dipendenti italiani ( in Europa mediamente inferiori del 20% ), preoccupati della contrazione dei consumi e della crescita. La stessa cosa da tempo era richiesta dai Sindacati.
La priorità del Governo Prodi, dopo aver risanato il bilancio dello Stato, rimediando ai buchi del precedente governo Berlusconi, era quello di procedere ad un riadeguamento dei redditi dei lavori dipendenti, attraverso la detassazione degli aumenti in busta paga e la chiusura dei contratti fermi da annni.
Nel 2008 questa era la priorità del governo Prodi, assieme alla riforma elettorale, per via parlamentare o comunque attraverso il referendum di aprile.
Finalmente speravamo di raccogliere qualcosa e il tradimento di Mastella e del suo partito, l’UDEUR, ( con l'eccezione del senatore Cusimano, prontamente licenziato dal partito ) ha annullato tutto ciò.
Dopo che Berlusconi non era riuscito a far cadere il governo Prodi e stava in sofferenza all’interno della sua coalizione che sembrava sul punto di collassare, Mastella si è reso conto che aveva un asso nella manica che valeva una miniera d’oro: lui e solo lui poteva far cadere il governo Prodi e ridare la palla a Berlusconi che con gioia l’ha raccolta al volo, ricompattando tutta la sua coalizione, vista la prospettiva di ritornare ad occupare le poltrone in tempi brevissimi.
Naturalmente Berlusconi sarà estremamente riconoscente nei confronti di Mastella, cioè nei confronti di colui che l’ha rimesso in carreggiata alla grande, per cui c’è da aspettarsi, come già vari organi di stampa hanno anticipato, che elargirà incarichi prestigiosi ai meritevoli ( Mastella e companY ) oltre naturalmente a stoppare “ quell’ingiusto giustizialismo del partito delle toghe" che tanto perseguita lui e l’amico di Ceppaloni.
A Prodi e Veltroni: ditele queste cose! Dite agli italiani che i traditori che hanno fatto cadere il Governo hanno scippato agli italiani il riadeguamento dei salari e degli stipendi, hanno sabotato la trattativa che avrebbe portato entro giugno alla chiusura dei contratti fermi da anni: Ditelo agli italiani che i traditori hanno pensato solo alla loro sopravvivenza politica, tradendo il mandato dato dagli elettori. Ditelo, gridatelo e forse tutto non è perduto!

Lu, 29.01.2008, Beria Selvaggia

lunedì 28 gennaio 2008

BONUS IN CONSIGLIO: MA DI CHE SI PARLA?

CONSAPEVOLEZZA DI CIO' DI CUI SI DISCUTE.

Mi pare che in C.C. stasera si sia ragionato un pò sulle corna delle chiocciole. Che senso ha ragionare su una norma se non si è neppure in grado di quantificarne e qualificarne le ricadute? Magari rischiare una spaccatura o una mancata condivisione? Poi sarebbe opportuno e innovativo utilizzare gli strumenti informatici vettoriali per graficizzare le interpretazioni e le ricadute della norma e degli eventuali emendamenti. Ciò per permettere ai consiglieri di decidere con piena consapevolezza di cosa si discute, di cosa si va a votare, di quali sono le ricadute; consiglieri che non è che masticano tali questioni tecniche tutti i giorni. Insomma, serve una preparazione migliore anche nella rappresentazione e nelle esposizioni di problematiche tecniche urbanistiche da parte degli organi preposti in Consiglio comunale. Abbiamo assistito ad un approccio antidiluviano alla questione e non fa certo piacere sapere che spesso si rischia di costringere i consiglieri a prendere decisioni senza la necessaria consapevolezza.

domenica 27 gennaio 2008

GIORNATA DELLA MEMORIA

Dal Corriere della Sera:

Treno per Auschwiz, la memoria sui binari

Seicento ragazzi italiani hanno ripercorso il viaggio dei deportati nei lager. Altri 700 in partenza da Milano
CRACOVIA (Polonia) – I vagoni sono accoglienti e riscaldati. E ognuno, a bordo, ha il suo posto a sedere. Nulla a che vedere con i carri bestiame che negli anni bui delle leggi razziali e del conflitto mondiale hanno trasportato centinaia di migliaia di ebrei e di dissidenti politici dall'Italia ai campi di concentramento e di sterminio della Polonia. Ma il viaggio che 600 ragazzi hanno compiuto da Carpi a Cracovia ha ripercorso lo stesso itinerario di allora. E lungo il tragitto ha fatto tornare la mente alla tragedia delle deportazioni di massa e dell'olocausto.
I TRENI PER AUSHWITZ - Un viaggio della memoria nel Giorno della memoria (la commemorazione di quei tragici eventi che nel 2000 è diventata un appuntamento istituzionale), per non dimenticare e per tramandare, a settant'anni dall'entrata in vigore dei famigerati «Provvedimenti per la difesa della razza», il ricordo di quanto avvenne in un'Italia e in un'Europa che ai giovani d'oggi possono apparire tanto lontane. L'iniziativa è promossa dalla Fondazione Fossoli in collaborazione con gli enti locali e con l'alto patrocinio della Presidenza della Repubblica e delle massime istituzioni italiane. Sono due i treni speciali diretti in Polonia: al primo, partito da Carpi venerdì pomeriggio, si aggiungerà quello che, con a bordo altri 700 studenti, lascerà domenica in serata il binario 21 della stazione Centrale di Milano, lo stesso, collegato con un montacarichi ai sotterranei della stazione, da cui un tempo partivano i carri piombati con i prigionieri destinati ai lager.
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-->ANCHE BERTINOTTI - A Milano ci sarà anche il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, a portare il saluto delle istituzioni ai ragazzi in partenza, che lunedì parteciperanno alla commemorazione internazionale anel campo di Birkenau. Saranno molte le delegazioni che giungeranno dall'Italia in autobus o aereo. Ma quella del doppio «Treno per Aushwitz» è singolare proprio per il valore evocativo di un viaggio sulle orme di coloro che quel viaggio lo compirono più di sessant'anni fa senza mai più fare ritorno in patria.
COME 60 ANNI FA - Sul convoglio partito da Carpi c'era lo scrittore e conduttore televisivo Carlo Lucarelli (■ «Film e libri non bastano», le sue parole al Corriere.it), non nuovo all'iniziativa, che raccoglierà materiale per i suoi libri e le sue trasmissioni e che a Cracovia terrà un reading sul tema della deportazione e dello sterminio dei prigionieri dei campi. La stazione della cittadina emiliana sorge a pochi chilometri dall'ex campo di concentramento e smistamento di Fossoli (www.fondazionefossoli.it) e proprio da qui partivano a migliaia, ignari di quanto sarebbe loro successo, i futuri internati. Anche noi abbiamo partecipato al viaggio. Per rivivere la storia, occorre passare attraverso la consapevolezza che i «veri» convogli portavano circa 2.000-2.500 deportati per volta. I vagoni merci contenevano ognuno dalle 80 alle 120 persone. E la meta più frequente era proprio il campo di Auschwitz Birkenau.
«NON E' UNA GITA» - Il viaggio dall'Emilia alla piccola banchina universalmente nota come "l'ultima fermata" o la "rampa degli ebrei" - la "Judenrmape" in tedesco -, la stessa «sempre illuminata» che Primo Levi aveva descritto in Se questo è un uomo, dura 22 ore. A bordo è un susseguirsi di momenti di confronto, conferenze, musica. Un contenitore di proposte didattiche per studenti ed insegnanti che per mesi si sono preparati a questo appuntamento. «Tutti sanno che non si tratta di una gita scolastica – spiega Silvia Mantovani, responsabile del progetto «Un treno per Aushwitz» - I ragazzi hanno frequentato laboratori didattici e gli insegnanti hanno partecipato a momenti formativi fin dall'inizio dell'anno scolastico per affrontare al meglio l'incontro tra la conoscenza e la storia».
IL PROGRAMMA - I ragazzi si immergeranno in pieno nella drammatica realtà dei lager, visitando il blok italiano del campo di Auschwitz, osservando da vicino le camere a gas e i forni crematori. Una domenica decisamente diversa, ripensando ai tanti loro coetanei che sessant'anni fa in queste baracche trascorrevano i loro ultimi giorni di vita. Lunedì, poi, tutte le delegazioni partite dall'Italia si riuniranno e parteciperanno insieme alla cerimonia conclusiva e alla fiaccolata al campo di Birkenau

L'ARRIVO – Varcato l'ultimo confine, in Polonia il treno viene accolto da un rigido freddo, ma della temuta neve neanche l'ombra. Quando il convoglio giunge in stazione, gli studenti scendono in modo ordinato, non chiassoso. Ma non è per la stanchezza del lungo trasferimento. Il primo piede poggiato sul suolo polacco riaccende il ricordo di storie e racconti letti sui libri di scuola e le immagini di film e sceneggiati. No, non è davvero una gita scolastica.
Ambra Craighero, 26 gennaio 2008

Grillo: La Casta dei Giornali

23.01.08 La Casta dei giornali/ I politici-editori
I contributi pubblici per l'editoria dovevano sostenere i giornali di partito, ma sono andati, per la maggior parte, agli editori privati. In fondo non c'è differenza, perchè i veri giornali di partito sono Il Corriere, La Repubblica, Il Sole 24 Ore, La Stampa, Il Messaggero, Il Foglio, Il Riformista, eccetera, eccetera. Dietro a questi giornali ci sono gli interessi economici di persone e di gruppi privati. Il salotto buono del Corriere con Ligresti, Passera, Della Valle e Elkann, tra gli altri. La Confindustria, De Benedetti, Berlusconi, Cordero di Montezemolo, Caltagirone... Gli editori sono loro, i soldi sono sempre i nostri.
20.01.08 La Casta dei giornali/ Il Corriere della Sera
Il pesce più grosso dello stagno è quello che non si è fatto prendere. RCS (Corriere della Sera) è il primo gruppo, sia per contributi ricevuti dallo Stato che per le prediche sul taglio dei costi della Casta. Paolo Mieli è meglio di una vecchia carpa.. I suoi giornalisti fanno i moralizzatori, ma RCS incassa in un anno un malloppo di 23.507.613 euro. Quando andate in edicola il Corriere pretendelo gratis, lo avete già pagato in anticipo con le vostre tasse.
18.01.08 La Casta dei giornali/ Carlo De Benedetti
Quando ho scoperto che all'ingegner De Benedetti lo Stato dà meno di venti milioni di euro di contributi all'anno ci sono rimasto male. Così poco? Per la libertà che ci offre sulle sue testate è nulla, una miseria. La libertà non ha prezzo, ma quella che ci regala il Gruppo l'Espresso è valutata troppo poco. Grazie Ingegnere, grazie. Poteva chiedere di più, ma non lo ha fatto. Un vero signore.
La Confindustria vuole il libero mercato. Il taglio della spesa pubblica. L'allontanamento degli statali fannulloni. Vuole la legge 30/Maroni, il precariato. E, come è ovvio, anche il profitto di impresa. Il suo giornale, Il Sole 24 Ore, ha ricevuto contributi pubblici per 19.222.787 euro nel 2006. Un quotidiano liberista/statalista che fa utili con le nostre tasse. Un esempio di coerenza contro lo spreco."La bibbia del libero mercato in Italia è – o dovrebbe essere – il nostro più grande quotidiano economico, Il Sole 24 Ore. Uno splendido prodotto editoriale e un’impresa che fa utili. Fondato nel 1865, è tra i nostri quotidiani più diffusi (347 mila copie al giorno nel marzo 2007). Per l’esattezza il terzo, dopo il Corriere della Sera (660 mila) e La Repubblica (629 mila), quasi a pari quota con la Gazzetta dello Sport (343 mila). Ha fama di testata autorevole e rigorosa, non solo per le ricche e impeccabili informazioni di servizio che quotidianamente fornisce alle imprese e agli imprenditori. Quotidianamente dalle sue colonne si documentano le interferenze dello Stato nel mercato, le politiche assistenziali e le numerose anomalie che si registrano in Italia nel rapporto fra istituzioni pubbliche ed economia. Ma c’è una notizia – una cosa, diciamo così, abbastanza rilevante e certamente anomala nel panorama internazionale dell’informazione, dell’economia e della politica – che Il Sole 24 Ore non ha mai fornito ai propri lettori: i contributi erogati dallo Stato al Sole 24 Ore.Trattasi di un apporto annuo agli utili degli azionisti di questo giornale, in definitiva alla Confindustria – sotto forma d’integrazioni per l’acquisto della carta e di agevolazioni tariffarie – che ha raggiunto, come si è scoperto nel 2006, la bella cifra di oltre 19.222.787 euro (di un contributo pubblico di 257.448 euro gode anche Radio 24 - Il Sole 24 Ore).Solo con le agevolazioni per la spedizione postale, Il Sole 24 Ore, il giornale italiano che in assoluto ha più abbonati, “risparmia” 11 milioni e mezzo di euro l’anno. Per ogni copia spedita ai propri abbonati, invece di 26 centesimi, ne sborsa 11. Il resto ce lo mette lo Stato.«Da liberista», lo stimato e bravo direttore del Sole 24 Ore, Ferruccio De Bortoli, si dichiara «contrario agli incentivi pubblici». E allora? «In linea di principio, credo che se ci fossero le condizioni di competizione più aperta ed anche condizioni di distribuzione più capillare, credo che naturalmente si potrebbe discutere in termini di mercato».Nel frattempo, evidentemente, se ne può fare a meno. Una cosa sono i principi, un’altra sono i dané." Beppe Lopez, La Casta dei giornali, ed. Nuovi Equilibri
La nostra immagine all'estero tra la spazzatura, la moglie di Mastella e la solidarietà di Prodi è ormai compromessa. Anche le testate finanziate per stranieri e emigranti all'oscuro di quello che avviene nel nostro Paese, come l'arcinoto "Polesani nel mondo" o il Gruppo l'Espresso (1 milione 700 mila euro di contributi all'anno) potranno fare poco per cambiare la situazione."Le testate percettrici di contributi diretti, relativi all’anno 2003, risultavano dunque 386, divise in otto categorie...LE ALTRE CATEGORIE/ ESTERO:- 124 «giornali italiani pubblicati e diffusi all’estero». Cinque i giornali più gratificati: Fiamma (Australia) con 143 mila euro, Pagina (Svizzera) con 89 mila, Cittadino Canadese (Canada) con 53 mila, Corriere Italiano (Canada) con 51 mila, Eco (Svizzera) con 49 mila.Nel 2004 queste testate risulteranno 133, che si divideranno in tutto 1 milione 446 mila euro.- fra le 23 «pubblicazioni edite in Italia e diffuse prevalentemente all’estero», predominava il Messaggero di S. Antonio, della Provincia Padovana dei Frati minori conventuali, con 109 mila euro. A una certa distanza, i 67 mila dell’Aise (Sogedi). Tutte le altre, fra i 27 mila euro di Inform e i 6 mila di Voce Buccino (Imprenda Angelo Maria): Abruzzo nel Mondo, Bellunesi nel Mondo, Emigrazione Siciliana, Migranti Press, Notizie Fatti e Problemi dell’Emigrazione, Polesani nel Mondo, Santo dei Miracoli (ancora S. Antonio da Padova), Servizio Migranti, Sicilia Mondo, Trentini nel Mondo, Trevisani nel Mondo, Voce dell’Emigrante, ecc. Anche nel 2004 le pubblicazioni di questo capitolo di spesa – 619 mila euro saranno 23.- due «quotidiani italiani teletrasmessi in paesi diversi da quelli membri dell’Unione Europea». In sostanza, si erogavano due milioni di euro ai due più importanti gruppi editoriali del Paese, l’Editoriale L’Espresso e la RCS, per finanziare la teletrasmissione all’estero della Repubblica (1 milione e 700 mila) e del Corriere della Sera (700 mila).Nel 2004, nessuna variazione: stessa cifra per le stesse due testate." Beppe Lopez, La Casta dei giornali, ed. Nuovi Equilibri
Più di 100 giornali o periodici cattolici sono finanziati dallo Stato. Ma non erano sufficienti l'otto per mille e l'esenzione degli immobili religiosi dall'ICI? Le nostre tasse contribuiscono a "La Voce dei Berici della Diocesi di Vicenza" e a "La Valsusa della Stampa Diocesana Segusina".Imperdibili per i fedeli più devoti."Le testate percettrici di contributi diretti, relativi all’anno 2003, risultavano dunque 386, divise in otto categorie...QUARTA CATEGORIA: in pratica, monopolio di testate facenti capo, direttamente o indirettamente, alla Chiesa cattolica (diocesi, arcidiocesi, ordini religiosi, conventi, associazioni e opere pie, confraternite, ecc.). Fra i 106 «periodici editi da cooperative, fondazioni o enti morali ovvero da società il cui capitale sociale sia detenuto da cooperative, fondazioni o enti morali» si contavano sulla punta delle dita di una sola mano quelli editi da organizzazioni non cattoliche come l’Istituto Buddista e non religiose come l’ANMIL (Associazione dei Mutilati e Invalidi del Lavoro) e la Federazione Orticoltori.A primeggiare era la Società San Paolo. Fondata nel 1914 da don Giacomo Alberione, opera in trenta nazioni «e in molteplici campi di attività: editoria libraria, giornalistica, cinematografica, musicale, televisiva, radiofonica, audiovisiva, multimediale, telematica; centri di studio, ricerca, formazione, animazione». I Paolini sono impegnati programmaticamente e sistematicamente «nella diffusione del messaggio cristiano utilizzando i mezzi che la tecnologia mette a disposizione dell’uomo di oggi per comunicare». E la Periodici San Paolo, in particolare, riusciva a utilizzare puntualmente anche i contributi messi a disposizione dallo Stato italiano, assommando con sei testate una cifra superiore al miliardo delle vecchie lire: Famiglia Cristiana (210 mila euro), Il Giornalino (210 mila), Jesus (49 mila), Vita Pastorale (34 mila), Famiglia Oggi (5 mila) e Letture (5 mila).A parte la San Paolo, la gran parte delle testate di questa categoria si accontentavano di contribuzioni sotto i 50 mila euro: la più bassa in assoluto, meno di duemila euro, quella assicurata alla Impresa Tecnoeditoriale Lombarda per la Rivista Diocesana Milanese. Solo quindici riviste riuscivano ad aggiudicarsi un aiuto pubblico compreso fra i 50 mila e i 100 mila euro: L’amico del Popolo (102 mila), Città Nuova della Pia Associazione Maschile opera di Maria (94 mila), Toscana Oggi (89 mila), La Vita del Popolo dell’Opera San Pio X (82 mila), Corriere di Saluzzo (80 mila), Verona Fedele (74 mila), Il Popolo dell’Opera Odorico da Pordenone (65 mila), La Vita Cattolica (64 mila), L’Azione della Diakonia Ecclesiale (63 mila), La Difesa del Popolo (61 mila), La Voce dei Berici della Diocesi di Vicenza (57 mila), Adista «fatti, notizie, avvenimenti su mondo cattolico e realtà religiose» (56 mila), La Voce del Popolo «settimanale di informazione della cultura cattolica di Brescia. Documenti e informazioni sulla Diocesi e sulla Curia Vescovile» (56 mila), Il Nuovo Rinascimento dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai (52 mila) e La Valsusa della Stampa Diocesana Segusina (51 mila).Nel 2004 queste testate passeranno da 106 a 115, per una contribuzione complessiva di 3 milioni 674 mila."Beppe Lopez, La Casta dei giornali, ed. Nuovi Equilibri
Di fronte al numero sterminato di giornali assistiti la prima reazione è di farne subito uno per prendere finalmente uno stipendio. Se Fare Vela e Sportsman -Cavalli e Corse hanno ricevuto un finanziamento lo possono pretendere tutti, dai blog ai giornali di quartiere"Le testate percettrici di contributi diretti, relativi all’anno 2003, risultavano dunque 386, divise in otto categorie...TERZA CATEGORIA: cooperative vere, quasi vere, false. E cioè sessantotto «quotidiani e periodici editi da cooperative di giornalisti o da società la cui maggioranza del capitale sociale sia detenuta da cooperative nonché quotidiani italiani editi e diffusi all’estero e giornali in lingua di confine».Notevoli, in questo elenco, i trucchi, i travestimenti e le diavolerie messe in atto per acquisire contributi pubblici anche di notevole consistenza. La lista era capeggiata da una strana terna: l’Avvenire, diffuso e autorevole organo della potente Conferenza Episcopale Italiana, con 5.999.900,04 euro; Italia Oggi, battagliero «quotidiano economico, giuridico e politico, per i professionisti dell’economia e del diritto» della ClassEditori (gruppo con 270 dipendenti, quotato in Borsa ma formalmente posseduto al 50,01 per cento dalla coop Coitalia), con 5.061.277,60; Il Manifesto, storico «quotidiano comunista», edito dalla cooperativa editoriale più autentica e più autorevole esistente nel nostro Paese, con 4.441.529,33.Dietro il Primorski Dnevnik (2.969.627,17 euro), una decina di altre testate dalla svariata tipologia e qualità, accreditate di contributi fra i 2 milioni e i 2 milioni e mezzo di euro: America Oggi, «quotidiano italiano pubblicato negli Stati Uniti»; Conquiste del Lavoro, «quotidiano della CISL fondato nel 1948 da Giulio Pastore» (2.582.284,89); l’Avanti! «quotidiano socialista»; Il Cittadino, «quotidiano lodigiano e del SudMilano»; Corriere di Forlì, Corriere di Perugia, Corriere di Firenze, Corriere Canadese, Corriere del Giorno di Puglia e Basilicata, Il Corriere Mercantile, Editoriale Oggi (Ciociaria Oggi e Latina Oggi del gruppo di Ciarrapico), Giornale Nuovo della Toscana («testata distribuita esclusivamente in abbinamento con il quotidiano Il Giornale»), Il Globo, Nuovo Oggi Molise (gruppo Ciarrapico), Sportsman - Cavalli e Corse, Voce di Romagna…Per il resto, si rilevavano due corposi contributi superiori al milione e 800 mila (Il Sannio Quotidiano, «primo quotidiano di Benevento» e Rinascita). A seguire il milione e 601 mila euro della Dolomiten di Bolzano, il milione e 586 mila di Scuola Snals, il milione e 406 mila di Nuovo Corriere Bari Sera, il milione e 313 mila di Provincia Quotidiano di Frosinone, il milione e 224 mila del Cittadino Oggi di Siena, il milione e 185 mila della Verità, il milione e 272 mila della Voce di Mantova; i buoni piazzamenti, sul milione di euro, dell’agenzia Area (storicamente legata all’area ex PCI e fornitrice di decine di emittenti locali) e di Ottopagine («quotidiano dell’Irpinia a diffusione regionale» in vendita a 50 centesimi); i 916 mila euro di Dossier News di Caserta - Il Giornale, gli 891 mila di Cronache del Mezzogiorno, i 753 mila dell’agenzia Dire.Una serie di testate venivano sostenute con un contributo annuo di 516 mila euro: Fare Vela, Luna Nuova, Carta, Motocross, Il Mucchio Selvaggio («settimanale di musica rock, cinema, libri e video»), La Nuova Ecologia di Legambiente, Rassegna Sindacale («settimanale della CGIL specializzato sui temi del sindacato e del lavoro»), Il Salvagente («settimanale dei diritti, dei consumi e delle scelte» nato nel 1989 come supplemento all’Unità), Trenta Giorni nella Chiesa e nel Mondo («mensile internazionale diretto da Giulio Andreotti»)…A seguire, con contributi di minore entità, due mensili come Noi Donne (storica rivista femminile nata nel 1937 a Parigi, espressione dell’UDI, Unione Donne Italiane) e Minerva del Club delle Donne, l’associazione romana guidata dall’ex PSI Annamaria Mammoliti, Chitarre del Musichiere Soc. coop a r.l. e Jam «viaggio nella musica», testate come Metropolis (quotidiano che «opera a partire dagli anni 90 nell’area stabiese-sorrentina, tornese vesuviana, agro-nocerino-sarnese, salernitano, avellinese»), il settimanale in sloveno Novi Matajur, il «mensile di Agricoltura Alimentazione e Ambiente» Oep-Notiziario Agricolo Spazio Rurale, Ore 12, Qui («settimanale di informazione della Provincia di Ravenna»), il «settimanale di Imola» Sabato Sera, il settimanale Sole delle Alpi che si propone di «far riscoprire le culture locali, oramai vittime della globalizzazione culturale ed ideologica», il mensile Rivista Italiana Difesa «pubblicazione leader del settore in Italia fin dal primo numero»...Chiudevano questa categoria i sei contributi più modesti, elargiti a Lucania, «quotidiano di vita regionale» della Basilicata con redazione, società editrice, centro stampa, concessionaria locale e concessionaria nazionale a Bari, capoluogo della Puglia (153 mila euro); all’Umanità, presumibile erede della vecchia testata socialdemocratica (114 mila euro); al Quotidiano di Sicilia, «regionale di Economia Istituzioni Ambiente Lavoro Impresa Terzo settore» (108 mila); al quotidiano Domani di Bologna (76 mila); a Mari e monti (84 mila) e al «settimanale d’informazione di Anzio e Nettuno» Il Granchio (41 mila).In questa categoria convergevano le quattro sottocategorie previste dall’art. 3 della legge 250 del 1990. Nel 2004 essa sarà, negli elenchi ufficiali del Dipartimento, divisa in quattro capitoli: ventiquattro quotidiani editi da cooperative, per complessivi 31 milioni 812 mila euro; quindici quotidiani di società «la cui maggioranza del capitale sia detenuta da cooperative, fondazioni ed enti morali», per complessivi 38 milioni 91 mila euro; quattro quotidiani editi in regioni di confine, per complessivi 5 milioni 328 mila euro; cinque quotidiani editi e diffusi all’estero, per complessivi 8 milioni 162 mila euro; ventitré periodici editi da cooperative di giornalisti, per complessivi 9 milioni 613 mila euro. In tutto, tre testate in più rispetto alle 68 del 2002, per un totale esborso di circa 95 milioni di euro."Beppe Lopez, La Casta dei giornali, ed. Nuovi Equilibri
La cooperativa, secondo il dizionario della lingua italiana, è una società di produzione fondata sul capitale, il lavoro e il profitto impiegati o distribuiti in comune. Libero e il Foglio sono cooperative? Il capitale è il nostro, il lavoro è per il loro padrone e i profitti sono i loro stipendi. In comune ci sono solo le nostre tasse."Le testate percettrici di contributi diretti, relativi all’anno 2003, risultavano dunque 386, divise in otto categorie...SECONDA CATEGORIA: ex “movimenti” ora sedicenti cooperative. E cioè ventidue «quotidiani editi da cooperative costituite entro il 30 novembre 2001, già organi di movimenti politici».Si entrava in una galleria di testate più varie ed eterogenee, che erano riuscite ad acquisire il diritto ai contributi attraverso vie controverse. A cominciare da Libero (5.371.151,76) e dal Foglio (3.511.906,92). Quattro quotidiani, meno noti e meno diffusi di questi due, si aggiudicavano tutti la stessa bella cifra di 2.582.284,49 euro: Il Giornale d’Italia, Linea («giornale del Movimento Sociale Fiamma Tricolore»), Torino Cronaca-Il Borghese e Roma. Per entità del contributo, seguivano un altro quotidiano napoletano, Il Denaro, con 2.238.168,15 e Il Riformista – più esattamente: «Nuovo Riformista (già) Le Ragioni del Socialismo» – con 2.179.597,05. Con poco meno (2.065.827,60) faceva la sua bella figura l’Opinione delle Libertà di Diaconale. Altri due corposi contributi risultavano assegnati al quotidiano cremonese La Cronaca (1.874999,72) e al Campanile Nuovo dell’UDEUR, il partito dell’ex DC Clemente Mastella (1.153.084).Contributi più limitati andavano, fra gli altri: alla Gazzetta Politica dell’ex dirigente del PSI Claudio Signorile (516.456,90); a Metropoli Day, «settimanale di informazione che pubblica notizie di attualità politica, costume, eventi sportivi e culturali, attualità e tanto altro ancora che riguardano i Comuni di Campi Bisenzio, Sesto F.no, Poggio a Caiano, Calenzano, Signa e Lastra a Signa» (516.456,90); al settimanale Avvenimenti, fondato dall’ex deputato PCI Diego Novelli (451.992,60); ad Area, dell’Area Editoriale s.r.l. (451.992,60); alla Voce Repubblicana, organo del residuale PRI (203.694,45).Completavano la seconda categoria donazioni fra i 169 mila e i 10 mila euro al mensile Aprile della sinistra dei DS, al Patto dell’ex deputato DC Mario Segni, ad Angeli, a Cristiano Sociali News, a La Nuova Provincia (già) Città che Vogliamo e a Milano Metropoli.Nel 2004 l’esborso complessivo per questa categoria di testate sarà di 29 milioni 810 mila euro. Risulteranno assenti Il Giornale d’Italia e Il Patto. La rivista della Angeli Editrice diventerà Quotidiano Sociale di Angeli, passando da 91 mila a 516 mila euro."Beppe Lopez, La Casta dei giornali, ed. Nuovi Equilibri
Gli italiani sono in leggera controtendenza. Leggono poco, ma in compenso hanno un numero di giornali sterminato finanziato dalle loro tasse. Da cosa dipende? Dalla scelta eccessiva che confonde il lettore? Dall'informazione asservita ai finanziatori politici?"Le testate percettrici di contributi diretti, relativi all’anno 2003, risultavano dunque 386, divise in otto categorie, di cui le prime tre primariamente coinvolte nelle polemiche sui soldi ai “giornali di partito”, a sedicenti “movimenti” e alle vere e finte cooperative.PRIMA CATEGORIA: tredici «giornali organi di movimento politico avente un proprio gruppo parlamentare o due eurodeputati eletti nelle proprie liste, nonché giornali organi di minoranze linguistiche aventi un rappresentante in parlamento».La lista era capitanata dall’Unità, con un contributo complessivo di 6.817.231,05 euro. Al giornale dell’ex PCI, ex PDS e ora DS, si affiancavano altre due testate di partiti provenienti dalla stessa area ex PCI: il quotidiano Liberazione, di Rifondazione Comunista, percettore di un contributo di 3.718.490,08 euro, e il settimanale dei Comunisti Italiani (PDCI) Rinascita della Sinistra (907.314,84).Era assente dalle edicole e dai contributi con un proprio giornale Forza Italia, il più importante partito dell’altro fronte, il centrodestra (salvo che per i 563.604,85 assicurati al mensile Liberal di Ferdinando Adornato). Due corpose contribuzioni venivano però assicurate alla Lega Nord per La Padania (4.028.363,80) e ad Alleanza Nazionale per il Secolo d’Italia, appartenente al “Secolo d’Italia di Gianfranco Fini” (3.098.741,40).Per quello che riguarda l’area dell’ex DC, in testa era “Democrazia è Libertà – La Margherita” con il quotidiano Europa (3.138.526,10). Ma anche La Discussione, «giornale fondato da Alcide de Gasperi» e ora oscuro quotidiano della Democrazia Cristiana per le Autonomie, riusciva ad accaparrarsi la bella cifra di 2.582.284,49 euro. Mentre Democrazia Cristiana, edito da “Balena Bianca piccola società Coop Giornalistica a r.l.”, si accontentava di 157.545,10.Contributi sul milione di euro risultavano versati agli organi di altri due gruppi politici: 1.032.913,80 alla Sudtiroler Volkspartei, per la testata Zukunft in Sudtirol; 1.020.390,93 ai Verdi per Il Sole che ride.Completavano l’esborso pubblico per la prima categoria di testate sovvenzionate i 602.024,10 al settimanale Avanti! della Domenica (i socialisti dello SDI) e i 297.146,28 a Le Peuple Valdôtain dell’Union Valdôtaine.Le tredici testate di questa categoria si ritroveranno nei contributi 2004, perlopiù con cifre in crescita, per un totale di 26 milioni 694 mila euro. Al posto del Sole che ride, una “new entry”: Il Socialista Lab, del Nuovo PSI, con 36 mila euro."Beppe Lopez, La Casta dei giornali, ed. Nuovi Equilibri
Tra le cause dell'emergenza spazzatura ci sono i giornali. Non solo in senso metaforico, perchè non hanno informato su ecomafia e raccolta differenziata, ma con il loro contributo diretto.La monnezza è prodotta dagli editori in modo consapevole. Stampano per prendere i contributi dallo Stato e riempire i bidoni della spazzatura."Ora che sono scomparsi compositori, linotipisti e impaginatori, lo stampatore è rimasto l'unico nei giornali a tenere alta la bandiera dell'arte tipografica. Si può immaginare, dunque, l'avvilimento dei rotativisti dell'Unità quando ogni notte sono costretti a produrre 16 mila copie di scarto per consentire alla Nuova Iniziativa Editoriale S.p.A. di incassare dallo Stato, solo con esse, 250 mila euro annui di contributi, che concorrono a quelli che complessivamente le spettano (6,5 milioni di euro) per il fatto di stamparne ogni notte 120 mila, anche se potrebbe mandarne in edicola solo 80 mila, visto che se ne vendono meno di 60 mila. Una resa del 50% di copie non si era mai vista prima dell'avvento delle provvidenze per l'editoria.Ma si è visto e si vede anche di più, Europa, il quotidiano della Margherita, notoriamente vende sotto le 5 mila copie, diciamo molto sotto. Eppure, per incamerare più di 3 milioni di euro l'anno in pubblici contributi, la sua amministrazione deve farne stampare 30 mila copie. Sapendo perfettamente che fine faranno: al macero. Con quanti danni per l'erario, per la dignità professionale di tutte le persone coinvolte e persino per i boschi e per i polmoni dell'umanità, è facile immaginare."Beppe Lopez, La Casta dei giornali, ed. Nuovi Equilibri
Il finanziamento pubblico ai giornali costa al cittadino italiano quasi un miliardo di euro all’anno. L’editoria, può quindi, a pieno titolo essere definita editoria di Stato. Ci sono buoni e anche ottimi giornalisti, quelli che scrivono rischiando la pelle, quelli emarginati, quelli sotto pagati. Il 25 aprile non è contro di loro, ma contro l’ingerenza della politica nell’informazione.Il lettore non conta nulla per l’editore di un giornale, contano di più i finanziamenti pubblici (partiti), la pubblicità (Confindustria, ABI, Confcommercio) e i gadget (dvd, fumetti, eccetera).Beppe Lopez ha scritto un libro: “La Casta dei giornali”, un viaggio nella disinformazione. Ogni giorno ne pubblicherò un estratto fino al 25 aprile.Soldi pubblici, informazione privata.“ Ma quanti sanno che lo Stato finanzia il Corriere della Sera, rimpolpando gli utili degli azionisti della RCS con elargizioni calcolate, per un solo anno, in 23 milioni di euro?E come commentare il fatto che gli italiani, tutti gli italiani, lavoratori e imprenditori, laici e cattolici, piemontesi e siciliani – oberati, tutti insieme e individualmente, dal più alto debito pubblico dell’Occidente (che nel 2006 ha sfondato il tetto dei 1.600 miliardi di euro) e da interessi sul debito colossali (ogni anno il 6% del PIL) – siano costretti a finanziare, fra gli altri il giornale della Confindustria con più di 19 milioni di euro l’anno, il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana con più di 10 e il quotidiano della Fiat con 7 milioni di euro?La Mondadori, notoriamente, non ha un quotidiano. Si accontenta, diciamo così, di fare la parte del leone in edicola con i periodici e in libreria con i libri. Come la prendereste se vi dicessero che, solo sotto forma di credito di imposta sulle spese sostenute per l’acquisto della carta in un anno, l’azienda di Silvio Berlusconi è stata da noi sostenuta con un contributo di 10 milioni di euro? E che in un solo anno risulta aver avuto dallo Stato uno sconto, per le spedizioni postali, di quasi 19 milioni di euro?Tutti conoscono Giuliano Ferrara e il suo Foglio, Vittorio Feltri e il suo Libero, Antonio Polito (poi sostituito da Paolo Franchi) e il suo Riformista. Pochi sanno che costoro possono fornire il loro esuberante apporto alla vita politica e istituzionale del Paese grazia al nostro diretto apporto economico. Insomma ci costano complessivamente più di 12 milioni di euro.” Beppe Lopez, La Casta dei giornali, ed. Nuovi Equilibri

domenica 20 gennaio 2008

REFERENDUM:CONSULTA, SI AI TRE QUESITI.



Divieto di candidarsi in più collegi elettorali, abrogazione a Camera e Senato del collegamento tra liste

ROMA - La Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibili i tre quesiti referendari in materia di legge elettorale promossi dal comitato capeggiato da Mario Segni e da Giovanni Guzzetta. «Sono emozionato e commosso», sono state le prima parole di Segni dopo la decisione della Consulta.
COSA DICONO - I tre referendum riguardano: 1 - abrogazione alla Camera 2 - e al Senato della possibilità di collegamento tra liste, così da consentire l'attribuzione del premio di maggioranza alla lista che raccoglie il maggior numero di voti e non più alla coalizione3 - divieto di candidarsi in più collegi elettorali.
URNE - Il voto dovrà avvenire, come prevede la legge, tra il 15 aprile e il 15 giugno prossimi. A meno che il Parlamento venga sciolto, in questo caso si voterà nel 2009. Le motivazioni della decisione della Consulta dovranno essere depositate entro il 10 febbraio.
DECISIONE - Una camera di consiglio insolitamente breve, che ha sorpreso non pochi. Riuniti dalle 9,30 a porte chiuse, i 14 giudici costituzionali hanno prima ascoltato i rappresentanti del comitato promotore e gli avvocati delle parti che invece si opponevano, poi dalle 11,30 hanno iniziato la discussione che li ha portati a emettere il verdetto di ammissibilità dei tre quesiti proposti. Un’ora e mezza di pausa per il pranzo, quindi intorno alle 16,30 la sentenza. E proprio i tempi brevi della camera di consiglio spingono qualche osservatore a sostenere che la decisione possa essere stata presa dalla Corte presieduta da Franco Bile senza grandi contrasti tra i giudici (all’appello mancava il sostituto di Romano Vaccarella, che si è dimesso lo scorso aprile).

il CORRIERE - 16 gennaio 2008

Cosa prevedono i referendum:

PREMIO DI MAGGIORANZA
I quesiti 1 e 2 propongono di abrogare il collegamento tra liste alla Camera (quesito 1) e al Senato (quesito 2). Secondo l'attuale legge elettorale, a beneficiarie del premio di maggioranza possono essere alternativamente liste o coalizioni di liste. Se vincessero i sì ai referendum (e se fosse superato il quorum del 50% degli aventi diritto al voto), il premio di maggioranza verrebbe attribuito solo alla lista singola (e non più alla coalizione di liste) che abbia ottenuto il maggior numero di seggi. Ne risulterebbe un sistema elettorale che spingerebbe i partiti a puntare alla costruzione di un unico raggruppamento, incentivando una significativa ristrutturazione del sistema partitico. «Si aprirebbe, per l'Italia, una prospettiva tendenzialmente bipartitica», spiegano i promotori. Le attuali leggi elettorali di Camera e Senato prevedono un sistema proporzionale con premio di maggioranza. Tale premio è attribuito su base nazionale alla Camera e su base regionale al Senato ed è attribuito alla singola lista o alla coalizione di liste che ottiene il maggior numero di voti. Il fatto che sia consentito alle liste di coalizzarsi per ottenere il premio ha fatto sì che alle ultime elezioni dell'aprile 2006 si siano formate «due grandi coalizioni composte di numerosi partiti al proprio interno. E la frammentazione è notevolmente aumentata». Abrogando la norma sulle coalizioni, inoltre, verrebbero anche innalzate le soglie di sbarramento. Per ottenere rappresentanza parlamentare, le liste dovrebbero comunque raggiungere un consenso del 4% alla Camera e dell'8% al Senato. La lista più votata ottiene il premio che le assicura la maggioranza dei seggi in palio, le liste minori ottengono comunque una rappresentanza adeguata, purché superino lo sbarramento.
CANDIDATURE MULTIPLE Il terzo quesito vuole eliminare la possibilità che un candidato si presenti (e quindi venga eletto) in più circoscrizioni sia alla Camera che al Senato. L'attuale sistema prevede che ci si possa candidare e venire eletti in più zone d'Italia (lo fanno soprattutto leader e principali esponenti dei partiti) avendo poi la facoltà di scegliere in quale zona accettare l'elezione e, di conseguenza, far eleggere i candidati presenti in lista dietro di loro. Oggi la possibilitá di candidature in più circoscrizioni (anche tutte) conferisce, sottolineano i promotori del referendum, «un enorme potere al candidato eletto in più luoghi. Nell'attuale legislatura, questo fenomeno, di dimensioni veramente patologiche, coinvolge circa un terzo dei parlamentari che vengono scelti dopo le elezioni da chi già è stato eletto e diventano parlamentari per grazia ricevuta. Un esempio macroscopico di cooptazione».
Il voto tra il 15 aprile e il 15 giugno, a meno che il parlamento non venga sciolto.

L’OPPOSIZIONE A LUCCA E’UN ECTOPLASMA?

Abbiamo ricevuto questo intervento e lo pubblichiamo come post.

L’OPPOSIZIONE A LUCCA E’UN ECTOPLASMA?

Forse lo sarà perchè in questo periodo si parla di urbanistica, materia da prendere con le molle visto che la strumentazione urbanistica comunale è stata considerata coerente e conforme a quella degli enti sovraordinati e che metterla in discussione più di tanto significherebbe mettere in discussione la filosofia e l’approccio politico-tecnico che Regione e Provincia hanno voluto per il territorio lucchese ( approccio riscontrabile del resto per tutta la Toscana, alla luce degli eventi ), chi dovrebbe dettare la linea, si guarda bene dall’affrontare la questione e si concentra su tematiche correlate sulle quali non può essere chiamato in causa per le pregresse politiche da lui condivise.
Questo è un handicap per l’opposizione. Ma è anche chiaro che il suo capogruppo in Consiglio Comunale, sarebbe poco credibile e rischierebbe di cadere in contraddizione nel caso avesse l’ardire di alzare i toni più di tanto contro la politica cementificatoria degli ultimissimi anni.
Di fatto si tirerebbe la zappa sui piedi, visto che come presidente della Provincia, ha dato il via libera al piano comunale. Stiamo parlando di un Regolamento urbanistico e di un Piano Strutturale non adeguatamente imbrigliato dalla Pianificazione di livello superiore, quella provinciale e quella regionale, di concerto costruita da tali enti.
Il Regolamento urbanistico del 2004 ha così potuto sbizzarrirsi tra le grandi falle della pianificazione sovracomunale determinando una mutazione dell’identità fisica e culturale del territorio.
Comune e Provincia, al di là delle apparenze, nei contenuti sono stati molto in sintonia negli anni scorsi, specie in materia urbanistica, la Regione ha lasciato fare.Sarà bene che l’opposizione si liberi prima possibile di questi fantasmi e degli scheletri nell’armadio per poter esprimere compiutamente le sue potenzialità, oggi fortemente inibite.

Antonio

venerdì 18 gennaio 2008

PIU' UMILTA' E MENO ORGOGLIO

RIFLESSIONE SUL CASO SAPIENZA

Forse era il caso che Rettore e Senato accademico non si facessero influenzare più di tanto dalla lettera di dissenso di alcuni professori, tra l’altro minoritari, e confermassero il programma stabilito.
In fin dei conti se il PAPA fosse intervenuto come era giusto, non sarebbe stata messa in crisi la LAICITA’ che il luogo legittimamente deve poter esprimere.Ci sarebbe stata la possibilità di replica e il confronto sarebbe continuato garantendo libertà di pensiero e di espressione.

I PROF. DISSIDENTI DELLA SAPIENZA



UNIVERSITA’ LA SAPIENZA. ROMA
Il dissenso dei Professori contenuto in una lettera consegnata al Rettore della Sapienza che ha originato il cambio di programma deciso dal Rettore e dal Senato accademico ( a seguito del quale Benedetto XVI non avrebbe più dovuto tenere la LECTIO MAGISTRALIS, così come concordato, bensì, dopo aver inaugurato la cappella dell’Università, recentemente restaurata, avrebbe potuto, a margine della giornata inaugurativa, fare il suo intervento ), che ha originato la rinuncia a partecipare da parte del Vaticano.

MARCELLO CINI


Il «caso» della visita del papa, non si sa bene in che veste, per l'inaugurazione dell'anno accademico della Sapienza è scoppiato due giorni dopo quello della lavata di capo da lui rivolta al sindaco di Roma Veltroni come se fosse ancora il capo dello stato pontificio. Come già in altre occasioni non si sa se Ratzinger parli dalla cattedra di Pietro o da quella di professore di teologia, o magari dal trono di un re dell'ancien régime. E' un fuoco di fila di voluta confusione di ruoli che contrassegna il protagonismo di Benedetto XVI volto a riportare indietro di un paio di secoli l'orologio della storia. Un tentativo che, come ha ricordato Eugenio Scalfari, tende a «trasformare la gerarchia ecclesiastica e quello che pomposamente viene definito il Magistero in una lobby che chiede e promette favori e benefici, quanto di più lontano e disdicevole dall'attività pastorale e dall'approfondimernto culturale».Questo disegno mostra che nel suo nuovo ruolo l'ex capo del Sant'Uffizio continua a interpretare il suo compito come espropriazione, con le buone o (come in passato) con le cattive, della sfera del sacro immanente nella profondità dei sentimenti e delle emozioni di ogni essere umano, da parte di una istituzione che rivendica l'esclusività della mediazione fra l'umano e il divino: espropriazione che ignora e svilisce le differenti forme storiche e geografiche di questa sfera così intima e delicata senza rispetto per la dignità personale e l'integrità morale di ogni individuo.Come alcuni lettori del manifesto forse ricordano già in novembre avevo rivolto al rettore della Sapienza una lettera aperta, nella quale esponevo le ragioni della mia indignazione per un invito a tenere una lectio magistralis che mi appariva del tutto inappropriata nella forma e nella sostanza. Alcuni colleghi hanno voluto successivamente unire la loro voce alla mia e li ringrazio per averlo fatto. Siamo certamente una minoranza del corpo accademico, ma non credo purtroppo che la maggioranza dei miei colleghi si interessi molto alle questioni che non attengono direttamente alla loro attività professionale.Anche se la proposta di lectio magistralis non è stata portata avanti, si è scoperto, guarda caso, che il papa si troverà a passare da quelle parti proprio lo stesso giorno dell'inaugurazione dell'anno accademico e dunque che sarebbe stato scortese non chiedergli di dire due parole. La sostanza è dunque che il papa inaugurerà giovedì l'anno accdemico dell'Università La Sapienza.Perché ci indignamo tanto? Perché siamo così intolleranti e settari da non volergli dare la parola? Provo a spiegarlo in due parole. In primo luogo perchè le università, per lo meno quelle pubbliche, sono - negli stati non confessionali - una comunità di studiosi, docenti e discenti, di tutte le discipline universalmente riconosciute, di tutte le scuole di pensiero, di tutte le culture e gli orientamenti politici e religiosi, scelti dai loro pari per i loro contributi scientifici e culturali. Nessuno di loro può però accettare che qualcuno, per quanto vanti investiture dall'Alto, possa loro prescrivere cosa debbano o possano dire, fare o pensare. Ognuno ha la propria coscienza e la propria deontologia professionale. In particolare possiamo tollerare che il papa possa dire ai nostri colleghi biologi che non devono prendere sul serio Darwin? Oppure ai nostri colleghi filosofi che è «inammissibile» - parole del professor Ratzinger a Ratisbona - «rifiutarsi di ascoltare le tradizioni della fede cristiana»? Concludo con una domanda semplice. Una cosa simile potrebbe mai accadere non dico nella Spagna di Zapatero ma anche in Francia in Germania, in Inghilterra o negli Stati Uniti?

SE IL PAPA NON VA ALLA SAPIENZA, LA SAPIENZA VA DAL PAPA


TESTO INTEGRALE DI BENEDETTO XVI°

CITTA' DEL VATICANO - Ecco il testo integrale dell'allocuzione che PAPA BENEDETTO XVI avrebbe dovuto pronunciare all'universitá di Roma «La Sapienza» subito dopo l'inaugurazione dell'anno accademico, pubblicato dalla Santa Sede.


È per me motivo di profonda gioia incontrare la comunità della "Sapienza - Università di Roma" in occasione della inaugurazione dell’anno accademico. Da secoli ormai questa Università segna il cammino e la vita della città di Roma, facendo fruttare le migliori energie intellettuali in ogni campo del sapere. Sia nel tempo in cui, dopo la fondazione voluta dal Papa Bonifacio VIII, l’istituzione era alle dirette dipendenze dell’Autorità ecclesiastica, sia successivamente quando lo Studium Urbis si è sviluppato come istituzione dello Stato italiano, la vostra comunità accademica ha conservato un grande livello scientifico e culturale, che la colloca tra le più prestigiose università del mondo.
Da sempre la Chiesa di Roma guarda con simpatia e ammirazione a questo centro universitario, riconoscendone l’impegno, talvolta arduo e faticoso, della ricerca e della formazione delle nuove generazioni. Non sono mancati in questi ultimi anni momenti significativi di collaborazione e di dialogo. Vorrei ricordare, in particolare, l’Incontro mondiale dei Rettori in occasione del Giubileo delle Università, che ha visto la vostra comunità farsi carico non solo dell’accoglienza e dell’organizzazione, ma soprattutto della profetica e complessa proposta della elaborazione di un "nuovo umanesimo per il terzo millennio".
Mi è caro, in questa circostanza, esprimere la mia gratitudine per l’invito che mi è stato rivolto a venire nella vostra università per tenervi una lezione. In questa prospettiva mi sono posto innanzitutto la domanda: Che cosa può e deve dire un Papa in un’occasione come questa? Nella mia lezione a Ratisbona ho parlato, sì, da Papa, ma soprattutto ho parlato nella veste del già professore di quella mia università, cercando di collegare ricordi ed attualità. Nell’università "Sapienza", l’antica università di Roma, però, sono invitato proprio come Vescovo di Roma, e perciò debbo parlare come tale. Certo, la "Sapienza" era un tempo l’università del Papa, ma oggi è un’università laica con quell’autonomia che, in base al suo stesso concetto fondativo, ha fatto sempre parte della natura di università, la quale deve essere legata esclusivamente all’autorità della verità. Nella sua libertà da autorità politiche ed ecclesiastiche l’università trova la sua funzione particolare, proprio anche per la società moderna, che ha bisogno di un’istituzione del genere.
Ritorno alla mia domanda di partenza: che cosa può e deve dire il Papa nell’incontro con l’università della sua città? Riflettendo su questo interrogativo, mi è sembrato che esso ne includesse due altri, la cui chiarificazione dovrebbe condurre da sé alla risposta. Bisogna, infatti, chiedersi: qual è la natura e la missione del Papato? E ancora: qual è la natura e la missione dell’università? Non vorrei in questa sede trattenere Voi e me in lunghe disquisizioni sulla natura del Papato. Basti un breve accenno. Il Papa è anzitutto Vescovo di Roma e come tale, in virtù della successione all’Apostolo Pietro, ha una responsabilità episcopale nei riguardi dell’intera Chiesa cattolica. La parola "vescovo"–episkopos, che nel suo significato immediato rimanda a "sorvegliante", già nel Nuovo Testamento è stata fusa insieme con il concetto biblico di Pastore: egli è colui che, da un punto di osservazione sopraelevato, guarda all’insieme, prendendosi cura del giusto cammino e della coesione dell’insieme. In questo senso, tale designazione del compito orienta lo sguardo anzitutto verso l’interno della comunità credente. Il Vescovo – il Pastore – è l’uomo che si prende cura di questa comunità; colui che la conserva unita mantenendola sulla via verso Dio, indicata secondo la fede cristiana da Gesù – e non soltanto indicata: Egli stesso è per noi la via. Ma questa comunità della quale il Vescovo si prende cura – grande o piccola che sia – vive nel mondo; le sue condizioni, il suo cammino, il suo esempio e la sua parola influiscono inevitabilmente su tutto il resto della comunità umana nel suo insieme. Quanto più grande essa è, tanto più le sue buone condizioni o il suo eventuale degrado si ripercuoteranno sull’insieme dell’umanità.
Vediamo oggi con molta chiarezza, come le condizioni delle religioni e come la situazione della Chiesa – le sue crisi e i suoi rinnovamenti – agiscano sull’insieme dell’umanità. Così il Papa, proprio come Pastore della sua comunità, è diventato sempre di più anche una voce della ragione etica dell’umanità. Qui, però, emerge subito l’obiezione, secondo cui il Papa, di fatto, non parlerebbe veramente in base alla ragione etica, ma trarrebbe i suoi giudizi dalla fede e per questo non potrebbe pretendere una loro validità per quanti non condividono questa fede. Dovremo ancora ritornare su questo argomento, perché si pone qui la questione assolutamente fondamentale: che cosa è la ragione? Come può un’affermazione – soprattutto una norma morale – dimostrarsi "ragionevole"? A questo punto vorrei per il momento solo brevemente rilevare che John Rawls, pur negando a dottrine religiose comprensive il carattere della ragione "pubblica", vede tuttavia nella loro ragione "non pubblica" almeno una ragione che non potrebbe, nel nome di una razionalità secolaristicamente indurita, essere semplicemente disconosciuta a coloro che la sostengono. Egli vede un criterio di questa ragionevolezza fra l’altro nel fatto che simili dottrine derivano da una tradizione responsabile e motivata, in cui nel corso di lunghi tempi sono state sviluppate argomentazioni sufficientemente buone a sostegno della relativa dottrina. In questa affermazione mi sembra importante il riconoscimento che l’esperienza e la dimostrazione nel corso di generazioni, il fondo storico dell’umana sapienza, sono anche un segno della sua ragionevolezza e del suo perdurante significato.
Di fronte ad una ragione a-storica che cerca di autocostruirsi soltanto in una razionalità a-storica, la sapienza dell’umanità come tale – la sapienza delle grandi tradizioni religiose – è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee. Ritorniamo alla domanda di partenza. Il Papa parla come rappresentante di una comunità credente, nella quale durante i secoli della sua esistenza è maturata una determinata sapienza della vita; parla come rappresentante di una comunità che custodisce in sé un tesoro di conoscenza e di esperienza etiche, che risulta importante per l’intera umanità: in questo senso parla come rappresentante di una ragione etica.
Ma ora ci si deve chiedere: e che cosa è l’università? Qual è il suo compito? È una domanda gigantesca alla quale, ancora una volta, posso cercare di rispondere soltanto in stile quasi telegrafico con qualche osservazione. Penso si possa dire che la vera, intima origine dell’università stia nella brama di conoscenza che è propria dell’uomo. Egli vuol sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità. In questo senso si può vedere l’interrogarsi di Socrate come l’impulso dal quale è nata l’università occidentale. Penso ad esempio – per menzionare soltanto un testo – alla disputa con Eutifrone, che di fronte a Socrate difende la religione mitica e la sua devozione. A ciò Socrate contrappone la domanda: "Tu credi che fra gli dei esistano realmente una guerra vicendevole e terribili inimicizie e combattimenti … Dobbiamo, Eutifrone, effettivamente dire che tutto ciò è vero?" (6 b – c). In questa domanda apparentemente poco devota – che, però, in Socrate derivava da una religiosità più profonda e più pura, dalla ricerca del Dio veramente divino – i cristiani dei primi secoli hanno riconosciuto se stessi e il loro cammino. Hanno accolto la loro fede non in modo positivista, o come la via d’uscita da desideri non appagati; l’hanno compresa come il dissolvimento della nebbia della religione mitologica per far posto alla scoperta di quel Dio che è Ragione creatrice e al contempo Ragione-Amore.
Per questo, l’interrogarsi della ragione sul Dio più grande come anche sulla vera natura e sul vero senso dell’essere umano era per loro non una forma problematica di mancanza di religiosità, ma faceva parte dell’essenza del loro modo di essere religiosi. Non avevano bisogno, quindi, di sciogliere o accantonare l’interrogarsi socratico, ma potevano, anzi, dovevano accoglierlo e riconoscere come parte della propria identità la ricerca faticosa della ragione per raggiungere la conoscenza della verità intera. Poteva, anzi doveva così, nell’ambito della fede cristiana, nel mondo cristiano, nascere l’università. È necessario fare un ulteriore passo. L’uomo vuole conoscere – vuole verità. Verità è innanzitutto una cosa del vedere, del comprendere, della theoría, come la chiama la tradizione greca. Ma la verità non è mai soltanto teorica. Agostino, nel porre una correlazione tra le Beatitudini del Discorso della Montagna e i doni dello Spirito menzionati in Isaia 11, ha affermato una reciprocità tra "scientia" e "tristitia": il semplice sapere, dice, rende tristi. E di fatto – chi vede e apprende soltanto tutto ciò che avviene nel mondo, finisce per diventare triste.
Ma verità significa di più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene. Questo è anche il senso dell’interrogarsi socratico: qual è quel bene che ci rende veri? La verità ci rende buoni, e la bontà è vera: è questo l’ottimismo che vive nella fede cristiana, perché ad essa è stata concessa la visione del Logos, della Ragione creatrice che, nell’incarnazione di Dio, si è rivelata insieme come il Bene, come la Bontà stessa.
Nella teologia medievale c’è stata una disputa approfondita sul rapporto tra teoria e prassi, sulla giusta relazione tra conoscere ed agire – una disputa che qui non dobbiamo sviluppare. Di fatto l’università medievale con le sue quattro Facoltà presenta questa correlazione. Cominciamo con la Facoltà che, secondo la comprensione di allora, era la quarta, quella di medicina. Anche se era considerata più come "arte" che non come scienza, tuttavia, il suo inserimento nel cosmo dell’universitas significava chiaramente che era collocata nell’ambito della razionalità, che l’arte del guarire stava sotto la guida della ragione e veniva sottratta all’ambito della magia. Guarire è un compito che richiede sempre più della semplice ragione, ma proprio per questo ha bisogno della connessione tra sapere e potere, ha bisogno di appartenere alla sfera della ratio. Inevitabilmente appare la questione della relazione tra prassi e teoria, tra conoscenza ed agire nella Facoltà di giurisprudenza. Si tratta del dare giusta forma alla libertà umana che è sempre libertà nella comunione reciproca: il diritto è il presupposto della libertà, non il suo antagonista.
Ma qui emerge subito la domanda: come s’individuano i criteri di giustizia che rendono possibile una libertà vissuta insieme e servono all’essere buono dell’uomo? A questo punto s’impone un salto nel presente: è la questione del come possa essere trovata una normativa giuridica che costituisca un ordinamento della libertà, della dignità umana e dei diritti dell’uomo. È la questione che ci occupa oggi nei processi democratici di formazione dell’opinione e che al contempo ci angustia come questione per il futuro dell’umanità. Jürgen Habermas esprime, a mio parere, un vasto consenso del pensiero attuale, quando dice che la legittimità di una carta costituzionale, quale presupposto della legalità, deriverebbe da due fonti: dalla partecipazione politica egualitaria di tutti i cittadini e dalla forma ragionevole in cui i contrasti politici vengono risolti. Riguardo a questa "forma ragionevole" egli annota che essa non può essere solo una lotta per maggioranze aritmetiche, ma che deve caratterizzarsi come un "processo di argomentazione sensibile alla verità" (wahrheitssensibles Argumentationsverfahren). È detto bene, ma è cosa molto difficile da trasformare in una prassi politica.
I rappresentanti di quel pubblico "processo di argomentazione" sono – lo sappiamo – prevalentemente i partiti come responsabili della formazione della volontà politica. Di fatto, essi avranno immancabilmente di mira soprattutto il conseguimento di maggioranze e con ciò baderanno quasi inevitabilmente ad interessi che promettono di soddisfare; tali interessi però sono spesso particolari e non servono veramente all’insieme. La sensibilità per la verità sempre di nuovo viene sopraffatta dalla sensibilità per gli interessi. Io trovo significativo il fatto che Habermas parli della sensibilità per la verità come di elemento necessario nel processo di argomentazione politica, reinserendo così il concetto di verità nel dibattito filosofico ed in quello politico. Ma allora diventa inevitabile la domanda di Pilato: che cos’è la verità? E come la si riconosce? Se per questo si rimanda alla "ragione pubblica", come fa Rawls, segue necessariamente ancora la domanda: che cosa è ragionevole? Come una ragione si dimostra ragione vera? In ogni caso, si rende in base a ciò evidente che, nella ricerca del diritto della libertà, della verità della giusta convivenza devono essere ascoltate istanze diverse rispetto a partiti e gruppi d’interesse, senza con ciò voler minimamente contestare la loro importanza.
Torniamo così alla struttura dell’università medievale. Accanto a quella di giurisprudenza c’erano le Facoltà di filosofia e di teologia, a cui era affidata la ricerca sull’essere uomo nella sua totalità e con ciò il compito di tener desta la sensibilità per la verità. Si potrebbe dire addirittura che questo è il senso permanente e vero di ambedue le Facoltà: essere custodi della sensibilità per la verità, non permettere che l’uomo sia distolto dalla ricerca della verità. Ma come possono esse corrispondere a questo compito? Questa è una domanda per la quale bisogna sempre di nuovo affaticarsi e che non è mai posta e risolta definitivamente.
Così, a questo punto, neppure io posso offrire propriamente una risposta, ma piuttosto un invito a restare in cammino con questa domanda – in cammino con i grandi che lungo tutta la storia hanno lottato e cercato, con le loro risposte e con la loro inquietudine per la verità, che rimanda continuamente al di là di ogni singola risposta. Teologia e filosofia formano in ciò una peculiare coppia di gemelli, nella quale nessuna delle due può essere distaccata totalmente dall’altra e, tuttavia, ciascuna deve conservare il proprio compito e la propria identità. È merito storico di san Tommaso d’Aquino – di fronte alla differente risposta dei Padri a causa del loro contesto storico – di aver messo in luce l’autonomia della filosofia e con essa il diritto e la responsabilità propri della ragione che s’interroga in base alle sue forze.
Differenziandosi dalle filosofie neoplatoniche, in cui religione e filosofia erano inseparabilmente intrecciate, i Padri avevano presentato la fede cristiana come la vera filosofia, sottolineando anche che questa fede corrisponde alle esigenze della ragione in ricerca della verità; che la fede è il "sì" alla verità, rispetto alle religioni mitiche diventate semplice consuetudine. Ma poi, al momento della nascita dell’università, in Occidente non esistevano più quelle religioni, ma solo il cristianesimo, e così bisognava sottolineare in modo nuovo la responsabilità propria della ragione, che non viene assorbita dalla fede. Tommaso si trovò ad agire in un momento privilegiato: per la prima volta gli scritti filosofici di Aristotele erano accessibili nella loro integralità; erano presenti le filosofie ebraiche ed arabe, come specifiche appropriazioni e prosecuzioni della filosofia greca. Così il cristianesimo, in un nuovo dialogo con la ragione degli altri, che veniva incontrando, dovette lottare per la propria ragionevolezza. La Facoltà di filosofia che, come cosiddetta "Facoltà degli artisti", fino a quel momento era stata solo propedeutica alla teologia, divenne ora una Facoltà vera e propria, un partner autonomo della teologia e della fede in questa riflessa. Non possiamo qui soffermarci sull’avvincente confronto che ne derivò.
Io direi che l’idea di san Tommaso circa il rapporto tra filosofia e teologia potrebbe essere espressa nella formula trovata dal Concilio di Calcedonia per la cristologia: filosofia e teologia devono rapportarsi tra loro "senza confusione e senza separazione". "Senza confusione" vuol dire che ognuna delle due deve conservare la propria identità. La filosofia deve rimanere veramente una ricerca della ragione nella propria libertà e nella propria responsabilità; deve vedere i suoi limiti e proprio così anche la sua grandezza e vastità. La teologia deve continuare ad attingere ad un tesoro di conoscenza che non ha inventato essa stessa, che sempre la supera e che, non essendo mai totalmente esauribile mediante la riflessione, proprio per questo avvia sempre di nuovo il pensiero. Insieme al "senza confusione" vige anche il "senza separazione": la filosofia non ricomincia ogni volta dal punto zero del soggetto pensante in modo isolato, ma sta nel grande dialogo della sapienza storica, che essa criticamente e insieme docilmente sempre di nuovo accoglie e sviluppa; ma non deve neppure chiudersi davanti a ciò che le religioni ed in particolare la fede cristiana hanno ricevuto e donato all’umanità come indicazione del cammino.
Varie cose dette da teologi nel corso della storia o anche tradotte nella pratica dalle autorità ecclesiali, sono state dimostrate false dalla storia e oggi ci confondono. Ma allo stesso tempo è vero che la storia dei santi, la storia dell’umanesimo cresciuto sulla basa della fede cristiana dimostra la verità di questa fede nel suo nucleo essenziale, rendendola con ciò anche un’istanza per la ragione pubblica. Certo, molto di ciò che dicono la teologia e la fede può essere fatto proprio soltanto all’interno della fede e quindi non può presentarsi come esigenza per coloro ai quali questa fede rimane inaccessibile. È vero, però, al contempo che il messaggio della fede cristiana non è mai soltanto una "comprehensive religious doctrine" nel senso di Rawls, ma una forza purificatrice per la ragione stessa, che aiuta ad essere più se stessa. Il messaggio cristiano, in base alla sua origine, dovrebbe essere sempre un incoraggiamento verso la verità e così una forza contro la pressione del potere e degli interessi. Ebbene, finora ho solo parlato dell’università medievale, cercando tuttavia di lasciar trasparire la natura permanente dell’università e del suo compito.
Nei tempi moderni si sono dischiuse nuove dimensioni del sapere, che nell’università sono valorizzate soprattutto in due grandi ambiti: innanzitutto nelle scienze naturali, che si sono sviluppate sulla base della connessione di sperimentazione e di presupposta razionalità della materia; in secondo luogo, nelle scienze storiche e umanistiche, in cui l’uomo, scrutando lo specchio della sua storia e chiarendo le dimensioni della sua natura, cerca di comprendere meglio se stesso. In questo sviluppo si è aperta all’umanità non solo una misura immensa di sapere e di potere; sono cresciuti anche la conoscenza e il riconoscimento dei diritti e della dignità dell’uomo, e di questo possiamo solo essere grati.
Ma il cammino dell’uomo non può mai dirsi completato e il pericolo della caduta nella disumanità non è mai semplicemente scongiurato: come lo vediamo nel panorama della storia attuale! Il pericolo del mondo occidentale – per parlare solo di questo – è oggi che l’uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo. Detto dal punto di vista della struttura dell’università: esiste il pericolo che la filosofia, non sentendosi più capace del suo vero compito, si degradi in positivismo; che la teologia col suo messaggio rivolto alla ragione, venga confinata nella sfera privata di un gruppo più o meno grande.
Se però la ragione – sollecita della sua presunta purezza – diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e – preoccupata della sua laicità – si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma.
Con ciò ritorno al punto di partenza. Che cosa ha da fare o da dire il Papa nell’università? Sicuramente non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà. Al di là del suo ministero di Pastore nella Chiesa e in base alla natura intrinseca di questo ministero pastorale è suo compito mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro.
Città del Vaticano, 17 gennaio 2008
Benedictus XVI16 gennaio 2008

giovedì 17 gennaio 2008

PER CHI GIOCA ANGELINI?

Abbiamo ricevuto questo intervento e lo pubblichiamo come post.

ANGELINI PER CHI GIOCA?

Angelini ha buon gioco a dire quel che dice. Sa molto bene quali tasti toccare per avere l’attenzione dei lucchesi e spesso fotografa in modo assai apprezzabile la realtà, restituendone anche una interpretazione corretta.
Qualcuno storgerà la bocca notando che nel suo gruppo son presenti anche gli autori, prestanomi e colonnelli della recente cementificazione lucchese. Ma la politica, qualcuno suggerisce, è un’arte fine, è una strategia e le particolari contingenze possono essere necessarie al fine di raggiungere l’obiettivo. Capiremo forse, strada facendo, quale sarà il vero obiettivo.
Angelini mi trova d’accordo quando, fotografando la situazione, dice che “ in cinque anni a Lucca si sono costruiti immobili per tre milioni di metri cubi, il 25% di quanto fatto a partire dall’epoca romana. Queste scelte urbanistiche sono state fatte da Pietro Fazzi, Andrea Tagliasacchi e dall’assessore regionale Riccardo Conti. Anche Forza Italia è responsabile dell’urbanizzazione selvaggia del territorio”.
Ma non sono d’accordo quando assimila il volume derivante dai “bonus” a quello di un’operazione immobiliare del tipo di quella di viale Einaudi perchè non considera la sostanziale differenza tra le due cose: il “bonus” di fatto è spalmato sull’intero territorio e quindi non può assolutamente essere paragonabile, come impatto, ad un intervento di decine di migliaia di metri cubi concentrato in un’area limitata che, se realizzato, metterebbe a dura prova l’intero sistema urbano della frazione di S.Anna. Già ora, con quello che si è realizzato in questa zona, si percepisce chiaramente che si sono poste le premesse per la costruzione di un pezzo di Città sciatto, confuso, privo di qualità che darà vita a molti problemi.
Questa cosa è successa e sta succedendo in molte parti del territorio, non solo lucchese, ed accade in una situazione di sostanziale stasi demografica ed economica che non fa presupporre l’insediamento in tempi medio brevi ( dovuto a ragioni sia endogene che esogene ) di una massa di popolazione che porti ad una crescita consistente. Per questo motivo tutta questa cementificazione appare ingiustificata e rischia di porre le premesse per una sostituzione edilizia con progressivo abbandono dei nuclei consolidati che, se non interessati da politiche innovative di recupero, porteranno non solo alla perdita di un patrimonio edilizio storico che progressivamente rischia di essere abbandonato, ma anche la perdita del paesaggio, di un’immagine e di un uso del territorio così come si è andato stratificando nel tempo.
La lettura della strumentazione urbanistica locale e sovradimensionata recente, ha certamente individuato nell’edilizia il volano dell’economia, recuperando quanto succedeva negli anni cinquanta del XX° secolo, allora in presenza però di una domanda oggettiva e reale che oggi manca.
E’ evidente che la scelta politica di individuare nell’edilizia ancora una volta il volano economico, deriva da svariati fattori ed è altrettanto evidente che la forte pressione immobiliare ha condizionato in maniera importante le scelte di governo del territorio. Tale pressione, come i fatti dimostrano è poi sfociata in un’autentica cementificazione.
Poteva andare diversamente se ci fosse stata una guida e un indirizzo adeguato degli enti che hanno governato il territorio, tale pressione poteva utilmente essere indirizzata verso programmi generalizzati di edilizia residenziale pubblica, programmi di recupero dell’edilizia esistente adeguatamente incentivata e connessa alla problematica energetica.
Invece di governare il territorio, si è lasciato mani libere ad interventi che ben difficilmente riusciranno ad eliminare il problema della casa per gli strati più disagiati della popolazione, mentre innescheranno ulteriore degrado nei nuclei storici e nel territorio.
In tre anni si son consumate quasi tutte le volumetrie previste dal Piano. Gli enti sovraordinati non sono stati capaci di far diluire nel tempo le previsioni di piano. Ora si pone il problema di vendere ciò che è stato costruito. In tale quadro si innesta il tentativo di blocco dei bonus.
Almeno una parte di chi non potrà usufruire del bonus, infatti si pensa, andrà a rimpinguare la domanda e quindi a soddisfare l’offerta di case oggi invendute. Con ciò si è raggiunto veramente il fondo perché si è letteralmente stravolto un fare urbanistico lucchese secolare, sostanzialmente positivo, che vedeva crescere progressivamente i nuclei abitati con una certa armonia e secondo esigenze reali.
Fatto 100 il volume complessivo previsto dal R.U., di fatto un 15% è riferibile ai bonus, un 25% ai progetti norma e il rimanente 60% agli interventi immobiliari di svariate tipologie, calati a pioggia sul territorio.
Ciò sta comportando l’aumento volumetrico spropositato che Angelini giustamente rileva. Per far si che tutta la volumetria non fosse consumata in tre soli anni e molto del realizzato fosse estraneo ad una domanda reale, occorreva puntare sulla diluizione nel tempo della realizzazione edilizia e ciò era possibile garantendo i bonus che, fisiologicamente, essendo legati ad esigenze reali, automaticamente si diluiscono nel tempo e si concretizzano nel momento in cui tali esigenze si manifestano ( fare tale scelta significava puntare ad interventi che si collegano ad un edificio esistente, ad un agglomerato esistente, ad un’area già provvista di opere di urbanizzazione ); quindi occorreva puntare sui grandi contenitori dismessi che, all’interno di un disegno organico complessivo di rifunzionalizzazione, legato ad una chiara idea di Città che vogliamo, consentisse una idonea quota di allocazione di edilizia residenziale pubblica insieme a quella privata, comprensiva dei servizi, il tutto in modo che dialogasse strettamente con le esigenze dell’intera Città.
La quota distribuita a pioggia, avrebbe dovuto essere ridotta drasticamente, rinunciando magari a dei ritorni elettorali, per il bene della Città. Tale cosa sarebbe stata facilitata in presenza di un dibattito vivo sulla qualità e sui valori del territorio capace di impregnare culturalmente tutte le componenti politiche, sociali e culturali. Purtroppo da troppo tempo il dibattito culturale su queste problematiche è assente a Lucca.
In sostanza in luogo di 15% di bonus, 25% relativo ai progetti norma e 60% di interventi a pioggia, poteva prevedersi rispettivamente un 15%, un 25%, un 15%, ossia circa la metà di quanto effettivamente previsto, realizzabili progressivamente nel tempo.
Gli strumenti sovraordinati dovevano espressamente prescrivere la priorità nella realizzazione di volumetrie in ampliamento dei volumi esistenti, recupero dell’esistente, realizzazione di una quota vincolata ad edilizia residenziale pubblica. E la gestione di tali Piani doveva essere coerente con ciò. Le potenzialità volumetriche dovevano essere precisamente quantificate e contemporaneamente verificata la loro conformità alla strumentazione urbanistica di riferimento. Ma è andata diversamente, si è consumato un eclatante ossimoro tra il detto documentale e il fatto operativo.
14 01.2008. Geddes Patrick

domenica 13 gennaio 2008

BISOGNAVA AVERE CORAGGIO

Abbiamo ricevuto questo intervento e lo pubblichiamo come POST, ritenendo la questione ancora all'ordine del giorno, non solo in ambito lucchese.
QUELLO CHE POTEVA FARE – E NON HA FATTO – TAMBELLINI.
QUELLO CHE ANGELINI SEMBRA ABBIA DICHIARATO DI FARE


Avevo sollecitato Tambellini a fare qualcosa di importante alle ultime elezioni per il Comune di Lucca: realizzare una lista civica di uomini “liberi e forti”, punto di incontro di sensibilità comuni sui problemi, anche se di culture diverse, trasversali all’attuale quadro politico, contrarie ai poteri forti, agli apparati e ai loro “pacchetti”preconfezionati per il governo degli enti, favorevole ad una democrazia partecipata, al recupero dei valori di libertà e verità nel sistema democratico, attualmente abbandonati da una concezione liberista, ideologica, massimalista che punta tutto sulla mancanza di regole, sui provvedimenti ad personam, sull’immagine, su una politica populista che esclude solidarismo e responsabilità sociale.

Tambellini purtroppo non è andato in questa direzione e dopo aver chiaramente proposto un’idea politica alternativa a quella del suo partner della coalizione di centro sinistra, una volta perse le primarie di un soffio, si è prestato a posare in coppia nel manifesto finale, con l’evidente messaggio implicito di garanzia, da molti percepito però come un rientrare tra le righe. L’effetto di quel messaggio purtroppo rischia di aver bruciato l’unico personaggio nel Centro sinistra che poteva organizzare la riscossa e preparare una rivincita. Favilla non è Grabau, e per riconquistare il Comune occorre un programma e un’azione che a Lucca non può prescindere dall’appello a suo tempo fatto a Tambellini. Appello che l’intelligente politico Angelini sembra aver fatto suo, almeno nelle dichiarazioni d’intenti. Vedremo quanto di dichiarato sarà tradotto nella realtà delle cose cammin facendo.

Allora si propose di dar vita a qualcosa di veramente nuovo per fare breccia, nella convinzione che la gente altrimenti avrebbe continuato a fare quello che aveva sempre fatto turandosi il naso e magari standosene a casa.

Allora proponemmo di aprire un dibattito culturale che risultasse fecondo e che puntasse al riconoscimento di valori condivisi su cui fondare un progetto nuovo per i cittadini e il territorio.

Un tentativo in tal senso hanno avviato Illy a Trieste e Zanotto a Verona. Loro hanno superato il “populismo e il bipolarismo imperfetto”, sono andati oltre l’Ulivo, hanno creato uno spazio politico nuovo, non un nuovo partito, non un terzo polo, bensì un’area aperta a tutti i riformisti, andando al di là dei confini ideologici dell’Ulivo e della Casa delle Libertà.

Si trattava ( e si tratta ) di mettere insieme quindi riformisti e moderati appartenenti a diverse tradizioni politiche, invitarli a confluire nella “nuova area riformista moderata”, intorno ad un programma comune, gestita da un leader affidabile, scelto sul territorio e non imposto dal vertice, dotato di una sua autonomia dai partiti, capace, in conseguenza, di innescare un processo di rinnovamento degli stessi. Partner diversi accomunati da un progetto nuovo, condiviso, capace di dare risposte ai problemi concreti della gente, con possibili, conseguenti disarticolazioni e ricomposizioni dello stesso quadro politico.

Un’area formata da liste civiche, movimenti, associazioni, gruppi e singoli cittadini, compresi i tanti delusi, anche tesserati delle due coalizioni.

Questa idea è ancora valida: l’idea di uno spazio riformista moderato, nuovo, di un’area delle solidarietà aperta a tutti i riformisti può essere in prospettiva vincente e può giustificare l’impegno della gente, il ritorno alla politica con la P maiuscola.

Questa idea la lasciamo coltivare solo ad Angelini, così come sembra sia intenzionato a fare ( con quali risultati vedremo ), oppure il centro sinistra prova a fare mente locale del disastro che ha subito a Lucca e ripensa se stesso, risettandosi, non in senso gattopardesco naturalmente, ma lasciando spazio veramente alla società civile e al nuovo?

11.01.2008
Vecoli Eugenio Fidia

OCCORRE UN CAMBIO DI PARADIGMA PER LA MOBILITA'


Dai dati resi noti sulla qualità dell’aria
apprendiamo che….
Lucca è la città più inquinata della Toscana!


PROPOSTA DI UN SISTEMA DELLA MOBILITA’ URBANA LUCCHESE

L’Area urbana lucchese soffre di una forte, cronica anemia:

- mediocre accessibilità al centro storico
- congestione viaria progressivamente crescente mano a mano che ci sia avvicina al centro
- mediocre accessibilità al sistema produttivo esistente

Occorre una terapia d’urto che dia risposte risolutive basate su di un cambio di paradigma che privilegi la rotaia rispetto alla gomma assieme alla realizzazione degli assi viari previsti dalla strumentazione urbanistica esistente, in maniera meno impattante possibile.

La cronica anemia si risolve non con più gomma, bensì con più ferro + ferro, + ferro.

Da uno studio recentemente fatto, risulta che l’Italia ha il più alto chilometraggio di autostrade rispetto ai paesi europei e il minor chilometraggio di linee ferrate che risulta essere il seguente: in Germania il 60%, in Francia il 50%; in Italia solo l’8%. Quello che occorre sono itinerari di drenaggio del traffico nelle aree urbane, traffico di attraversamento o generato dal sistema urbano stesso.

Oggi scontiamo l’incapacità pianificatoria del fare urbanistica a livello nazionale, attraverso l’inadeguatezza legislativa.
E scontiamo l’incapacità pianificatoria a livello locale, sommata alla cronica incapacità amministrativa gestionale .
Le opere infrastrutturali previste nei Piani Regolatori che si sono succeduti negli anni passati non sono state realizzate e molte di tali opere oggi non sono più realizzabili in quanto, non avendo proceduto ad una indemanializzazione di tali aree, queste stesse sono state saturate da una progressiva urbanizzazione resa possibile dalla scadenza dei vincoli e dall'accondiscendenza e miopia delle varie amministrazioni che hanno governato il territorio.
La città si è espansa senza dotarsi di quegli ingredienti di urbanità che sono essenziali per garantire la vivibilità del sistema urbano nel suo complesso. ( Le strade che servivano non sono state fatte, quelle realizzate negli spazi residuali, spesso sono andate a confliggere con gli insediamenti nel frattempo realizzatesi, non sono state realizzate le piazze, il verde pubblico, i parcheggi ecct, ecct.).

Risultato: promiscuità, confusione e congestione urbana, oltre ad una mancanza di qualità, identità e vivibilità delle aree urbanizzate.

Il cambio di paradigma, necessario, già intrapreso da tante città europee, consiste nel ripensare il sistema della mobilità in termini innovativi, per Lucca, paradossalmente si tratterebbe di un ritorno ad un’esperienza già vissuta in passato quando il tram (perché è l’utilizzo di questo mezzo che concretizza il cambio di paradigma ), collegava le frazioni periferiche con il centro storico.

Alla luce di tutto ciò proponiamo di realizzare nell’area urbana lucchese, un sistema tranviario che colleghi le frazioni ai parcheggi periferici e al centro storico.

Ciò assieme all’adeguamento viario possibile e ferroviario necessario, compresi i famosi “tronchetti” a servizio dell’area produttiva nella piana lucchese e nella media valle.

L’ obiettivo da raggiungere e raggiungibile, consiste:
- nel dare una migliore accessibilità al sistema urbano composto dagli insiemi Città, aree produttive, territorio.
- nel puntare ad una maggiore sicurezza del sistema mobilità
- nel raggiungere una maggiore integrazione tra i sistemi della mobilità e una maggiore integrazione tra il sistema della mobilità e il territorio. Ciò significherebbe ricadute importanti sulla qualità urbana, a cominciare da una maggiore fruibilità dei percorsi non solo in senso longitudinale ma anche trasversale ( ciò è possibile attraverso la realizzazione di percorsi protetti, ossia tranviari, ciclabili, pedonali).
- altro obiettivo importantissimo, prioritario, da raggiungere, è quello della riduzione dell’inquinamento che minaccia seriamente la salute della popolazione, in generale la vivibilità. L’inquinamento, con la congestione viaria, riducono inoltre le possibilità di accesso e di fruizione dell’area urbana.

In Toscana emblematica è l’esperienza di Prato che ha attivato questo cambio di paradigma, con l’intento di togliere gli ingorghi delle macchine dalle strade, recuperare la funzione trasversale delle stesse, consentire ai cittadini di rivivere la Città, e al contempo di migliorare la qualità dell’aria da respirare e la mobilità delle merci e delle persone.

Lucca, 13.01.2008 - C. Insieme per l’Oltreserchio

venerdì 11 gennaio 2008

LA POSSIBILITA' DI AVERE TUTTI LA BANDA LARGA E' UNA QUESTIONE DI DEMOCRAZIA

Troviamo molto positivo che la Provincia, assieme alla Regione e alla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, si siano attivate per dotare il territorio provinciale della banda larga, consentendo a tutti di poter democraticamente usufruire di una tecnologia essenziale riguardo all’informazione e alla conoscenza.

Siccome sulla stampa si parla solo di “ aree montane “, quelle che verranno servite dalla banda larga, non vorremmo che, alla fine, rimanessero fuori solo alcune frazioni del Comune di Lucca quali Nozzano, Balbano, Castiglioncello e Chiatri, Stabbiano, Vecoli, e gli altri paesi delle colline. In queste frazioni vi sono molti giovani, tra cui molti studenti, che assieme a tutta la popolazione aspettano da tempo di poter usufruire della connessione veloce.

Chiediamo alla Provincia, all’assessore Bambini che ha seguito la questione, che se così fosse, si ponga tempestivamente rimedio, affinchè questi paesi non siano considerati di serie B e non siano quindi depennati dalla lista che usufruirà di rete telematica ad alta velocità.

Naturalmente la stessa domanda la rivolgiamo al sindaco Favilla nel caso che, eventualmente, la Provincia non abbia provveduto o non abbia intenzione di provvedere in merito.

Ocl.oltreserchioecollinelucchesi

www.oltreserchioecollinelucchesi.it

venerdì 4 gennaio 2008

ANCORA CARBONE PER L'OLTRESERCHIO NEL 2008?

Per l’Oltreserchio l’anno vecchio è finito con due buone cose: la chiusura della cava Batano e l’annuncio che nel 2008 tutte le sue frazioni saranno servite dalla banda larga. Provincia e Comune finalmente stanno dando quelle risposte che da tanto tempo mancavano nell’Oltreserchio e che hanno prodotto dissesti e conseguenze negative, evidenti a tutti.

Basta guardare come sono ridotte le sue strade, per tanto tempo soggette ad un traffico non sostenibile, piene di buche e di fratture; basta transitare sulla via di Poggio da Ponte S.Pietro a Nozzano e poi da Nozzano a Balbano, per rendersi conto che tale viabilità assomiglia più ad un tratturo di montagna che ad una viabilità che serve un’aggregato urbano. La notte la situazione è ancora più pericolosa per la mancanza di illuminazione.

Il sindaco Favilla, nell’Oltreserchio, ha basato la sua campagna elettorale sulla improrogabile necessità della realizzazione delle fognature. L’Oltreserchio gli ha dato fiducia, Favilla è stato eletto sindaco, a lui ora chiediamo di rispettare gli impegni presi. L’Oltreserchio non può continuare ad essere una pattumiera, territorio buono solo ad accogliere interventi speculativi, vedi le serre trasformate in edifici, magari con contestuale impedimento al singolo cittadino di ampliamento e/o sopraelevazione della propria abitazione, necessario per dare una risposta alle esigenze reali della propria famiglia.

04.01.2008

E-MAIL: fromlucca@gmail.com
BLOG: DaLucca
Indirizzo blog: fromlucca.blogspot.com
SUL SITO: www.oltreserchioecollinelucchesi.it