martedì 7 giugno 2011

I 4 REFERENDUM DEL 12 E 13 GIUGNO 2011

Il 12 e 13 giugno si svolge il referendum per l’abrogazione di quattro disposizioni di legge. Si vota domenica dalle 8.00 alle 22.00 e lunedì dalle 7.00 alle 15.00. Bisogna presentarsi al seggio con un documento d’identità valido e la tessera elettorale.


I quattro quesiti proposti riguardano:
Referendum 1
Argomento: privatizzazione della gestione dell’acqua (scheda rossa)
Proposta di abrogazione delle modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica. 
Quesito:
Volete Voi che sia abrogato l’art. 23-bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 "Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e finanza la perequazione tributaria", convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall’art. 30, comma 26, della legge 23 luglio 2009, n. 99, recante "Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia", e dall’art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante "Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europea", convertito, con modificazioni, in legge 20 novembre 2009, n. 166, nel testo risultante a seguito della sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale?"

Referendum 2
Argomento: tariffe dell’acqua (scheda gialla)
Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito. Proposta di abrogazione parziale di norma.
Quesito
"Volete Voi che sia abrogato il comma 1, dell’art. 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 "Norme in materia ambientale", limitatamente alla seguente parte: "dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito"?" 

Referendum 3
Argomento: energia nucleare (scheda grigia)
Nuove centrali per la produzione di energia nucleare. Abrogazione parziale di norme.
La Corte Costituzionale deve decidere se il quesito è ammissibile al referendum.
Quesito
"Volete voi che sia abrogato il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, recante Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, limitatamente alle seguenti parti:
art. 7, comma 1, lettera d): realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare ...


Referendum 4
Argomento: leggittimo impedimento (scheda verde chiaro)
Abrogazione di norme della legge 7 aprile 2010, n. 51, in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale, quale risultante a seguito della sentenza n. 23 del 2011 della Corte Costituzionale.
Quesito
"Volete voi che siano abrogati l’articolo 1, commi 1, 2, 3, 5 e 6, nonché l’articolo 2, della legge 7 aprile 2010 n. 51, recante Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza?"

domenica 22 maggio 2011

PISAPIA sul blog di Marco Bracconi

21
mag
2011

L’uomo nero della politica


Se vince quello arrivano i froci e i transessuali. Se vince quell’altro la città sarà preda di zingari e terroristi. Con il terzo musulmani e altri negri invaderanno le nostre chiese.
Sarà la paura che fa novanta, ma il livello della propaganda elettorale del Pdl si è inabissato in una  preoccupante spirale regressiva.
Elettori trattati come bambini piccoli, in qualche asilo dei presunti orrori, terrorizzati dall’uomo nero.
Ogni giorno, nelle aule mediatiche allestite per l’occasione, i maestrini moderati spengono la luce e additano ai votanti in grembiule gli enormi pericoli che li attendono se non intendono marciare ordinatamente e in fila per due.  
Chissà se i giovanardi, i gasparri e i berlusconi educherebbero mai così i propri figli.
Forse sì, e questo è ancora più preoccupante.

 

17
mag
2011

La lezione Pisapia


Il voto di Milano dice tante cose. Per esempio che il Pdl ha sbagliato alla grande. Ha sbagliato completamente mira su Pisapia, indicandolo come amico di terroristi. Ha sbagliato a confermare la Moratti, candidato che aveva perso appeal. Ha sbagliato ad estremizzare la campagna puntando ai giudici e sul Colle, in una città sostanzialmente moderata.
Il voto di Milano dice anche che un pezzo del Paese prima berlusconiano è stanco e deluso dal premier, dalle sue leggi ad personam, dai festini di Arcore,  dalle barzellette idiote, dalla politica ridotta a propaganda.
Il voto di Milano dice anche che il centrosinistra può vincere. Che l’opposizione ha bisogno di credere più in se stessa. Che l’opinione pubblica, nemmeno quella orientata a destra, non è affatto imbambolata e immobile. La si può convincere, e addirittura conquistare.
Ma il voto di Milano dice anche un’altra cosa. Una piccola cosa, nell’inevitabile stordimento provocato dalla bella sorpresa. Piccola ma istruttiva, soprattutto a futura memoria.
Con Boeri,  probabilmente, la Moratti sarebbe stata avanti. E il Pd, oggi, non può far finta di non saperlo. Il successo parziale – ma clamoroso – di Pisapia insegna che per sfondare al centro conta la credibilità politica, lo spessore professionale, la simpatia umana.
Non è necessario, non sempre, e non comunque,  fare ammenda della propria storia.

venerdì 22 aprile 2011

VOGLIONO CANCELLARE I REFERENDUM SU NUCLEARE E ACQUA-FERMIAMOLI!

Referendum: Bonelli, Dopo Nucleare Governo Attacca Anche Acqua

 

(ASCA) - Roma, 21 apr - ''Dopo il nucleare il governo sta lavorando ad un provvedimento legislativo per far decadere anche il referendum contro la privatizzazione dell'acqua, come confermano le dichiarazioni del sottosegretario Saglia e quelle del ministro Romani''. Lo denuncia il presidente nazionale dei Verdi Angelo Bonelli che aggiunge: ''E' in atto un gravissimo esproprio di democrazia e dei diritti che la Costituzione assegna ai cittadini attraverso lo strumento del referendum. Il governo sta rubando agli italiani il diritto di esprimersi direttamente su due questioni -acqua pubblica e nucleare- vitali per il futuro del Paese''. ''Mai nella storia della repubblica e' accaduto che si approvassero strumentalmente e in modo truffaldino provvedimenti che hanno come unico scopo quello di far saltare i referendum -prosegue il leader ecologista-. Acqua e Nucleare hanno un valore di oltre 100 miliardi di euro che le grandi multinazionali dell'energia e dell'acqua intendono spartirsi prelevandoli dalle tasche dei cittadinI''. ''Si tratta di un fatto gravissimo e per questa ragione ci appelliamo al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano affinche' sia garantito il diritto al voto chiesto da oltre 2 milioni di italiani, a partire dal nucleare -conclude Bonelli-. L'approvazione di norme strumentali che hanno come obiettivo l'esproprio del diritto al referendum non fanno venir meno l'esigenza di svolgere le consultazioni popolari''.

mercoledì 20 aprile 2011

Sto con il presidente Napolitano

9 maggio, Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi
Il presidente della Repubblica dopo i manifesti affissi a Milano: “Intollerabile offesa”

Ricordiamo chi ha pagato con la vita
la lealtà alle istituzioni repubblicane

Il testo della lettera del presidente Giorgio Napolitano al vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Michele Vietti

Il prossimo 9 maggio si celebrerà al Quirinale il Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi
di tale matrice. Quest’anno, il nostro omaggio sarà reso in particolare ai servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la loro lealtà alle istituzioni repubblicane. Tra loro, si collocano in primo luogo i dieci magistrati che, per difendere la legalità democratica, sono caduti per mano delle Brigate Rosse e di altre formazioni terroristiche. Le sarò perciò grato se - a mio nome - vorrà invitare alla cerimonia i famigliari dei magistrati uccisi e, assieme, i presidenti e i procuratori generali delle Corti di Appello di Genova, Milano, Salerno e Roma, vertici distrettuali degli uffici presso i quali prestavano la loro opera Emilio Alessandrini, Mario Amato, Fedele Calvosa, Francesco Coco, Guido Galli, Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Vittorio Occorsio, Riccardo Palma e Girolamo Tartaglione”.
“La scelta che oggi annunciamo per il prossimo Giorno della Memoria costituisce anche una risposta all’ignobile provocazione del manifesto affisso nei giorni scorsi a Milano con la sigla di una cosiddetta “Associazione dalla parte della democrazia”, per dichiarata iniziativa di un candidato alle imminenti elezioni comunali nel capoluogo lombardo. Quel manifesto rappresenta, infatti, innanzitutto una intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle BR, magistrati e non. Essa indica, inoltre, come nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, e in particolare nelle polemiche sull’ amministrazione della giustizia, si stia toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni. Di qui il mio costante richiamo al senso della misura e della responsabilità da parte di tutti”.
Giorgio Napolitano

estratto da "Repubblica" del 20.04.2011

giovedì 7 aprile 2011

chiave di lettura di questi tempi oscuri

PER UN CRISTIANESIMO VERO: DON GALLO


© foto: Sonia Soldati
INFORMAZIONI TRATTE DA http://milano.mentelocale.it

Don Gallo e Loris Mazzetti: il nuovo libro 'Sono venuto per servire'



Una lunga intervista notturna tra bassi e carrugi. Dall'omosessualità al preservativo, dalle droghe leggere alla politica. La prefazione



«Drogati di merda». Così Don saluta i suoi ragazzi che gestiscono l'osteria marinara A 'Lanterna in via Milano dove si mangia un pesce da favola. «Ciao Don, in ritardo questa sera...», è la risposta di Fabio, che serve ai tavoli. Don gli batte una mano sulla spalla e poi girandosi verso di me: «Solo io li posso chiamare così».
Nel saluto c'è tutto l'affetto del mondo per i suoi giovani, per i tanti che sono passati dalla comunità di San Benedetto al Porto, che lui ha aiutato a uscire dal tunnel della droga e del malaffare.
«Ciao Don, sai che giorno è oggi?» gli dice Ina, la cuoca che governa la cucina dal primo giorno dell'apertura dell'osteria. Ha intuito dal trambusto che lui è arrivato. Tutti gli ex ragazzi gli sono attorno per salutarlo.

Ina, facendo capolino dal suo regno, gli dice: «Oggi festeggiamo i ventinove anni dall'apertura dell'osteria: menù speciale». Gli occhi del finto burbero si illuminano. Sono trascorsi quasi cinquant'anni dal giorno in cui Andrea Gallo (per chi gli vuol bene Don), fu nominato cappellano della nave Garaventa, il riformatorio che tutti i ragazzi di Genova hanno sempre temuto.
«Loris, non darle retta, qui il menù è speciale ogni giorno. Ina sta per andare in pensione, l'ho conosciuta che era una ragazza, si è sposata, è diventata nonna... Lei, è speciale».
«Te lo dico dopo che ho mangiato» gli rispondo scherzando. «Fidati, fidati...»
Don ha una parola per tutti. L'osteria non ha un tavolo libero, qualche locale, soprattutto turisti. Per noi hanno preparato in una saletta un po' appartata, sapevano che la nostra cena sarebbe stata lunga e piena di parole.
A' Lanterna, a due passi dalla Torre della Lanterna, il faro portuale di Genova, il simbolo della città marinara, è un luogo molto affascinante.
Mi sembra di essere entrato in una taverna tratta da L'isola del tesoro, dove non si beve rum ma un bianco e un rosso che «vanno giù che è un piacere». Linguine misto mare, tagliolini al pesto, cozze al pomodoro, acciughe e salmone marinato, tagliata di spada affumicato con rucola e il fritto misto (da questo piatto si riconosce la qualità della cucina di mare: Ina è una grande cuoca), per finire panna cotta con caramello e coppetta fantasia (Ina non svelerebbe le due ricette neanche sotto tortura), poi una sana grappetta, ovviamente Barile, l'amico del Don da una vita.

In chiusura della serata un ultimo giro per la città, accompagnati dal fido Marco, dedicato ai più bisognosi.
Tutto accade di notte. Le ore più drammatiche sono quelle che portano all'alba: furti, omicidi, affari di ogni genere, droga e prostituzione.
Le ore del giorno aiutano gli ultimi, una grande città li nasconde, si mimetizzano tra le luci e le ombre. Durante il giorno, i disadattati, i poveracci, si notano di meno; durante la notte, invece, sono una presenza visibile, li vedi aggirarsi in cerca di un rifugio lungo il porto, sotto un cavalcavia, attorno alla stazione, dove, fino a qualche tempo fa, potevano andare di nascosto a rifugiarsi in un vagone parcheggiato lungo un binario morto.
Ubriachi, drogati, prostitute, dopo i tanti fatti di sangue, l'accesso alla stazione di notte è vietato. Gli ultimi non sanno più dove andare, rimangono soli con la loro disperazione. Da quando don Gallo è tornato a Genova non dorme più durante la notte, rimane a disposizione dei fratelli più sfortunati. Solo quando il sole comincia a dare luce alla sua città don si corica per qualche ora.
«La mia gente di notte non ha un posto dove andare, così io dormo di giorno e sto sveglio fino all'alba nel mio archivio, tante volte volesse passare di là». Racconta don Gallo. Classe 1928, ottantadue anni, portati alla grande.
Ancora viaggia su e giù per l'Italia per incontrare le persone, i fratelli. Quando arriva Andrea Gallo è sempre festa, la platea è piena, stipata. Con una regola: «Io dormo nel mio letto a San Domenico al Porto», e via chilometri su chilometri con Marco alla guida.
Don lo avevo incontrato altre volte, durante un dibattito o un suo intervento in qualche mia trasmissione. La sua parola mi ha sempre affascinato.
Le sue parole non sono mai buttate al vento, hanno sempre un senso, ti rimangono dentro, ti fanno pensare (è banale dirlo figuriamoci scriverlo, però non ho altro modo per raccontare quello che provo).
Quando è stato ospite a
Che tempo che fa, mentre Fazio lo intervistava, io ero seduto dietro la scena, seguivo la ripresa attraverso un monitor di servizio, ascoltandolo pensavo: «Peccato che Don sia un prete, se fosse un politico, avremmo trovato il nostro leader».
È facile fare il rivoluzionario con il fucile in mano, anche se a volte è inevitabile, soprattutto quando si lotta contro il dittatore o l'usurpatore. Re Sole, Nicola II, Mussolini, Hitler, Stalin, Batista, Franco, Pinochet, Ceausescu o Al-Bashir, nomi che rappresentano disperazione e morte (l'Olocausto e le stragi nel Darfur sono solo due dei tanti esempi). Contro assassini come questi le parole sembrano inutili. Il criminale è convinto di prevalere su chi combatte per la verità e la giustizia sociale senza usare il fucile, eliminandolo, è accaduto a Gandhi e prima di lui a Cristo. Il loro pensiero, il loro esempio, la storia ci insegna, rimangono per sempre perché hanno la forza dell'acqua che goccia dopo goccia riesce a scavare la pietra.

Il mio cuore, sin da quando ero bambino, si è riempito di eroi, che hanno lottato per la giustizia.
I primi sono quelli che ho conosciuto attraverso la letteratura, da Davy Crockett a Robin Hood, da Ivanhoe a David Copperfield, poi sono arrivati i partigiani. Ricordo che la Rai, quando si avvicinava la data del 25 aprile, trasmetteva in prima serata alcuni film sulla Resistenza: da
Paisà di Rosellini a Achtung!Banditi! di Lizzani, da Le quattro giornate di Napoli di Loy a La lunga notte del '43 di Vancini. Quando sento Bella ciao (oltre ad essere la canzone simbolo della Liberazione, era anche la sigla della serie televisiva), mi emoziono e come allora mi vengono in mente alcuni volti: quello di Lupo, Mario Musolesi il comandate della brigata Stella Rossa, morto a trent'anni nel settembre '44; di Irma Bandiera, ventinove anni, la staffetta Mimma, medaglia d'oro al valor militare, prima violentata poi trucidata dai nazifascisti, non rivelò un solo nome dei componenti del suo gap; di Sirio Corbari, nome di battaglia Silvio, che morì a ventun'anni.
Anch'io, come tanti ragazzi della mia generazione, sono rimasto affascinato da Che Guevara. Ho stampato nella mente quando arrivò la notizia della sua morte in Bolivia nel 1967, era come fosse morto un caro amico. Del Che ho letto tutto, da Guerra per bande in poi, ancora oggi se esce un libro o un film non li perdo. Conservo ancora la prima maglietta comprata a Londra nel 1970 con la sua immagine nera, quella storica, stampata in negativo su fondo verde.

Negli anni, affrontando la vita e facendo un lavoro meraviglioso che mi ha portato a viaggiare per il mondo e a incontrare tante persone, sono rimasto colpito soprattutto da quelle che sono quotidianamente a contatto con le miserie umane. Mi hanno fatto capire che era giusto allargare lo spazio nel mio cuore e a fianco dei miei eroi ho messo altri volti che tanto avevano in comune con gli eroi della mia adolescenza. Quante volte ne ho parlato con Enzo Biagi.
Quante volte abbiamo messo a confronto i nostri rivoluzionari, i nostri eroi. Un giorno, durante uno dei tanti viaggi che abbiamo fatto insieme, mi disse che per lui i grandi rivoluzionari del Novecento erano stati tre preti: don Milani, don Mazzolari e don Zeno Saltini, il fondatore di Nomadelfia che aveva dato una madre a quei bambini che non l'avevano.
Conoscevo bene le storie dei tre rivoluzionari di Biagi, in particolare di don Milani, avevo letto molto, ero stato a Barbiana dove aveva la scuola. Non avevo mai pensato a loro come eroi, mancava nella loro vita la parte epica.

Fino a quel momento il prete eroe, per me era rappresentato da don Minzoni che si oppose al fascismo di Mussolini e fu assassinato dalle brigate nere di Italo Balbo, o l'arcivescovo di San Salvador Romero, che fu ucciso mentre celebrava la messa, perché lottava contro la dittatura denunciando le violenze che la popolazione povera era costretta a subire. Quando parlavo a Biagi di Che Guevara lui mi rispondeva con la storia dei fratelli Rosselli, di Gobetti, uccisi dai fascisti e di don Fornasini che non volle abbandonare i suoi fedeli e fu trucidato insieme a loro vicino a Marzabotto, poi scuotendo la testa mi diceva: «Il nostro Paese non ha memoria, tu sei un esempio».
Ai tre preti rivoluzionari, nel tempo, ne ho aggiunti altri: Il vescovo di Rumbec, sud del Sudan, don Cesare Mazzolari che salva i bambini soldato e compra gli schiavi per dare a loro la libertà; padre Alex Zanotelli, missionario comboniano come il vescovo, che ho incontrato quando era ancora in Africa, nella bidonville Korogocho, vicina alla più grande discarica di Nairobi, dove la povertà è estrema e oltre il cinquanta per cento della popolazione è affetta dall'Aids. Ho visto quanto i bambini erano felici di stare con lui. Don Luigi Ciotti, il simbolo dell'antimafia e il laico Gino Strada per gli ospedali di Emergency, ma soprattutto per la sua missione contro tutte le guerre. Mentre scrivo sento di voler aggiungere a loro anche Don.
Di Andrea Gallo conosco quasi tutto. Mi sono reso conto, studiando la sua vita, che è quella di un grande rivoluzionario. Sicuramente lui non sarà d'accordo con questa affermazione, scommetto che mi direbbe: «Io ho seguito solo le impronte lasciate da altri».
Lui è un grande rivoluzionario, non solo per il bene che fa, ma per la forza della sua parola, l'esempio dato dal suo modo di vivere (Dio sa quanto abbiamo bisogno di esempi in questa società che sta distruggendo i valori, dove morale ed etica solo sono optional e quindi non obbligatori), per la capacità di rendere semplice tutto quello che è complicato.

«Mai finora ci siamo ritrovati con animo così turbato come oggi. Siamo di fronte, nel nostro bel Paese, a una caduta senza precedenti della democrazia e dell'etica pubblica. La mia coscienza di uomo e di prete che intende coniugare fede e impegno civile è in difficoltà a prendere la parola. Dov'è la fede? Nelle crociate moralistiche? Dov'è la politica? Nei palazzi? Dove sono i partiti? Sempre più lontani. È una vera eutanasia della democrazia, siamo tutti corresponsabili, anche le istituzioni religiose».

Così ha scritto in una lettera pubblicata dal
Secolo XIX qualche tempo fa. Quello che mi ha più colpito in don Gallo è come lui ha messo in pratica gli insegnamenti del cristianesimo partendo dalla virtù che dovrebbe essere alla base della vita di un prete: la povertà, e che invece la Chiesa, quella conservatrice, quella dei tabù, gli ha sempre contestato, a volte trattandolo da eretico. Don Gallo non ha fatto altro che seguire l'esempio di Gesù, di san Francesco e di altri. Con la Chiesa il rapporto è stato difficile sin dall'inizio. «Chi vuol farsi obbedire deve prima riuscire a farsi amare», sono le parole di don Bosco che Andrea ha fatto sue.
Le prime incomprensioni con i superiori nascono nel riformatorio per minori, il suo primo incarico dopo essere stato ordinato sacerdote nel 1959, a trentun'anni. Il metodo che usa con i ragazzi (non ha alla base l'espiazione della pena), non è gradito. Con don Gallo fiducia e libertà prendono il posto della repressione. Lavora sulla responsabilità, consentendo ai ragazzi di uscire per andare al cinema e vivere momenti di auto gestione. Dopo tre anni viene rimosso dall'incarico senza nessuna spiegazione.

Nel 1964 decide di lasciare la congregazione e di entrare nella diocesi genovese. «La congregazione salesiana si era istituzionalizzata e mi impediva di vivere pienamente la vocazione sacerdotale» racconterà successivamente. Le contestazioni che rivolge alla Chiesa sono le seguenti: la piramide gerarchica che la compone; la sua ricchezza; la mancanza del no totale alla guerra; la condanna nei confronti della laicità (per don Gallo, invece, la laicità rappresenta la difesa dei diritti dell'uomo).
Cercherò di fare una sintesi del pensiero del don (sicuramente molto riduttiva), attraverso le sue dichiarazioni, nella speranza che serva per capire meglio alcuni momenti dell'intervista.
I preti e il matrimonio: «Don Gallo ritiene che vi sia una grande contraddizione con il Vangelo. Gesù sceglie direttamente colui che diventerà il primo papa, Pietro, sposato con figli. «Se i preti avessero la possibilità di sposarsi, si ridurrebbe il problema del prete che non rispetta il voto di castità, che vanno con prostitute, della pedofilia».L'omosessualità: «Un dono di Dio».L'uso del profilattico: La prima risposta di don Gallo è quella della morale cattolica: «Seguire l'astinenza in attesa del matrimonio». Nello stesso tempo ammette che la realtà è un'altra e non rendersene conto è ancora più grave. «Se i giovani fanno all'amore l'uso del profilattico è fondamentale».Il sacerdozio femminile: «Favorevole».Il divorzio: «Favorevole».L'eutanasia: «Favorevole, se regolamentata».Legalizzazione delle droghe leggere: «Don Gallo non è favorevole al principio, ma ammette che il problema è reale: “C'è la necessità di una rigida regolamentazione, il proibizionismo non serve”».

«Una società felice è una società dove c'è meno bontà ma più diritto. Il nostro governo e la nostra Chiesa ci offrono come carità ciò che dovrebbe essere un diritto. La nostra curia e ogni cristiano devono andare incontro a chi è diverso. Basta con questi principi non negoziabili, basta con i tabù: oggi abbiamo bisogno di una Chiesa che ascolti e che si nutra di creatività piuttosto che di paure».

Sono queste le parole che don ripete tutte le volte che ha la possibilità di parlare in pubblico. Don Gallo nel 1965 diventa viceparroco alla Chiesa del Carmine in un quartiere popolare di Genova. «Di portuali e operai, con abitazioni inagibili e un mercato rionale quasi indecente. Giravo nei vicoli, sostavo tra i banchi, passavo in edicola, discutevo con il salumiere che era convinto che mi piacesse il prosciutto ma comprassi la mortadella perché ero tirchio e volevo spendere meno» ricorda Don.
Erano gli anni della fine del concilio Vaticano II. Gli anni in cui la Chiesa decise di leggere i segni dei tempi. La guerra del Vietnam. Facciamo l'amore e non la guerra, era lo slogan del movimento pacifista americano. Da noi, dopo la rivolta francese, nasce la contestazione, il movimento studentesco che vuole la riforma della scuola, i giovani entrano sempre più nel sociale.
«Alla messa di mezzogiorno trattavo i temi di attualità, ero nettamente schierato al fianco degli ultimi, cominciai a tenere due leggii: da una parte il Vangelo, dall'altra il giornale» scrive don Gallo ricordando quei giorni che segnarono il suo futuro. La Chiesa poteva sopportare un prete così?
No. Nel 1970 dopo averlo fatto spiare dal parroco che registrava di nascosto le sue prediche, decise di trasferirlo. La goccia che fece traboccare il vaso e che aveva fatto scatenare l'indignazione dei benpensanti fu la predica all'indomani della scoperta di una fumeria di Hashish nel quartiere.
«Invece di inveire contro chi rollava qualche spinello ricordai quanto fossero diffuse e pericolose altre droghe, per esempio quella del linguaggio, talmente fuorviante che poteva tramutare: il bombardamento di popolazione inerme, in un'azione a difesa della libertà». La curia lo accusò di fare politica invece di predicare il Vangelo. I teologi della Chiesa lo accusarono di essere comunista: «I contenuti delle sue prediche non sono religiosi ma politici, non cristiani ma comunisti».

Don Gallo era riuscito a trasformare la parrocchia del Carmine in un luogo di aggregazione, di confronto per giovani e adulti, nel tempo diventa un punto di riferimento per tutti: dai cattolici ai militanti della nuova sinistra. I parrocchiani fecero manifestazioni di solidarietà contro il suo trasferimento, scrissero una lettera al vescovo (che non ebbe mai risposta), accompagnata da 2370 firme.
Così don Gallo, nell'estate del 1970, saluta i suoi parrocchiani: «È vero, esiste un profondo dissenso fra me e la curia , ma un dissenso di amore e di profonda, convinta ricerca della verità. La cosa più importante è che si continui ad agire perché i poveri contino. Ci incontreremo ancora. Ci incontreremo sempre. In tutto il mondo, in tutte le chiese, le case, le osterie. Ovunque ci siano uomini che vogliono verità e giustizia».

Il giorno che ho incontrato Andrea Gallo ero convinto di trascorrere con lui alcune ore che poi sarebbero servite per realizzare questo libro, invece non è stato così, cioè non è stato solo quello. Mentre sto scrivendo, ripenso a quei momenti. Lo vedo dietro alla scrivania stracolma di lettere e di libri, nel suo studio che lui chiama archivio, forse con ragione. Ricordo la luce prima e la penombra poi che hanno accompagnato il trascorrere delle nostre ore, e non dimentico come, ogni tanto, guardava la foto, alla sua sinistra, quella di Giovanni XXIII, che lui chiama “il Papa”, il suo sguardo, sempre con un accenno di sorriso sulle labbra.
Quel giorno ho capito quanto possono far bene le sue parole, al tal punto che sembra di averle sempre sentite. Don Gallo è indimenticabile per come tratta il suo inseparabile toscano, rimane con lui anche quando mangia, è il suo vecchio caro amico, il compagno di sempre. Mi auguro di essere riuscito, nelle pagine che seguono, a trasmettere quello che ha rappresentato per me l'incontro e che le parole di don aiutino il lettore come hanno aiutato chi scrive. Per quell'incontro e per i tanti altri ringrazio Cinzia Monteverdi, che ha prodotto e diretto
Angelicamente anarchico e l'editore Francesco Aliberti che mi hanno proposto di aprire questa collana di interviste con il don.



 



Ieri sera, 15 novembre, Don Andrea Gallo ha partecipato alla seconda puntata di Vieni via con me, la trasmissione condotta da Fabio Fazio e Roberto Saviano. Ha letto, o meglio, ha recitato alla sua maniera un elenco di incontri che gli hanno insegnato qualcosa. Ha parlato di quel Cardinale che lo rimpoverava di frequentare drogati e transessuali e di Fabrizio De Andrè, che una volta gli disse: «Ti sono amico don, perchè ho capito che non vuoi spedirmi in paradiso per forza». Improvvisando come suo solito, Don Gallo ha chiuso il suo intervento con una barzelletta. Protagonisti un rabbino e un prete cattolico a tavola insieme: «arriva una bistecca di maiale e il rabbino la rifiuta. Non sai cosa ti perdi, gli dice il prete. Poi, prima di salutarsi, il rabbino dice al prete cattolico: Saluta tua moglie. E il prete: Ma io non sono sposato. Il rabbino conclude: Non sai cosa ti perdi».

Don Andrea Gallo

Don Gallo: «Io cammino con gli ultimi»

Una vita passata fra i poveri e gli emarginati. I temi a lui più cari nel nuovo libro a cura di Federico Traversa











«Un giorno il mio amico Tonino Carotone mi fece conoscere Manu Chao. Parlando venne fuori che sono di Genova: "Ma allora conosci Don Gallo?" - mi disse Manu. No, non lo conoscevo. Fu così che io e il musicista basco Tonino andammo a trovarlo nella sua Comunità di San Benedetto al Porto».
Federico Traversa conosce in questo modo Don Andrea Gallo - il Gallo, come lo chiamano i ragazzi della Comunità. «Usciti dal suo minuscolo ufficio, io e Tonino eravamo commossi. Quando incontri persone come Andrea diventi più possibilista anche sull'esistenza di Dio».
Mi racconta come è nata la loro collaborazione e il loro libro, Io cammino con gli ultimi, (pp. 160, 14 Eu),
Chinaski Edizioni - di cui Federico è responsabile editoriale - in uscita il 23 marzo prossimo.
Così Federico, entusiasta di quella «persona straordinaria», tornò più volte a San Benedetto, con il suo registratore, ad ascoltare quell'instancabile prete che gli parlava della sua vita, delle sue idee, delle sue speranze. Tre intensi incontri da cui è venuta fuori una lunga registrazione che Federico ha trascritto, riportando fedelmente le parole del Gallo: «Mi raccontava i suoi ricordi, il grande esempio di sua madre, i suoi incontri. Sfogliava il giornale e discuteva di attualità: Dico, eutanasia, guerre, droga». E la prima parte infatti riporta tutto questo: la sua educazione clerico-fascista, la sua scelta di appartenere al popolo di Cristo, il suo stare "fra gli ultimi", con i poveri, i tossici, le prostitute. «Poi c'è un botta e risposta fra noi due: io faccio le domande e lui risponde. Nella terza e ultima parte mi ritaglio un pezzettino, in cui faccio il punto, con le mie riflessioni».

Una domanda fa da collante a tutte le storie e gli aneddoti racchiusi in queste 160 pagine: di chi è la verità? "La verità è di tutti. Di tutti coloro che ricercano responsabilmente. Prendersi la responsabilità di ciò che succede, svegliarsi dal torpore della coscienza, innalzare il proprio sistema di valori, tendere all'unità con Dio, all'integrità, è il segreto dei segreti".
Quelle di Don Gallo sono parole forti, che arrivano dritte al punto. Spara a zero su tutto e su tutti: «Ho mandato a fanculo anche i comunisti, quando ce n'è stato bisogno». Denuncia tutto ciò che lo fa davvero "incazzare": i dogmi, il perbenismo, l'ostruzionismo, l'indifferenza. La gente che "predica bene e razzola male". Chi "si rinchiude nel recinto dell'etica e del moralismo, dispensando assiomi e dogmi dalla torre d'avorio". Le gerarchie, «che parola brutta». Provoca e si infervora, ma ti spiega, ti fa capire da dove è nato in lui il senso di ribellione e di rivoluzione. Nulla di ciò che dice è gratuito e privo di senso. E lui se ne frega delle etichette che gli hanno appiccicato in tutti questi 36 anni di attività: comunista, anarchico, no-global, abortista. Sa di avere la coscienza a posto, di essere coerente e di non mentire. Lui è così: o lo ami o lo odi.
«Andrea è un pendolo, spazia da un tema all'altro. Con questo libro posso davvero dire, a 32 anni, di aver fatto una cosa decente, seria, con la testa. E di aver imparato molto. Lui è un modello. Certo, imitarlo è impossibile. Però la sua serenità d'animo e il suo esempio è uno stimolo a migliorare. Parlare con lui è come parlare a un amico», conclude Federico.

Sfoglio le pagine del libro: leggere queste parole è come sentirlo parlare, il Gallo, con le sue battute secche, pungenti e l'odore acre del suo toscano che non toglie mai dalla bocca. Sono andata anch'io a fare due chiacchiere con lui. Impegnatissimo, sempre dietro ai suoi poveri e alla sua casella di posta intasata di mail. Sempre pronto a raggiungere gli amici che lo chiamano a questo o quell'evento: «Sono loro che mi telefonano e insistono. Mi vogliono bene», mi racconta. Parliamo a lungo, seduti alla sua scrivania stracolma: agenda, fogli, documenti, Il Manifesto, l'immagine di Don Bosco e la Costituzione italiana - il suo vademecum, assieme al Capitale di Marx e il Vangelo.
Si rivolge a me come un nonno alla nipote, felice di potermi lasciare un pezzetto della sua storia. Io, appena posso, tornerò a farci un salto: lui chiacchiera volentieri.



 





«Sono angelicamente anarchico»

Un'autobiografia di Don Gallo che raccoglie storie, riflessioni, ritratti di personaggi e gente comune. Il 6/4 la presentazione al Modena












La sede principale della mia comunità non ha insegne e nemmeno un campanello. Non so spiegarmi perché, ma, nonostante l'anonimato, tante persone continuano a presentarsi alla mia porta, di giorno e di notte, sicure di trovare altre persone pronte ad accoglierle. (Don Andrea Gallo)

È pomeriggio inoltrato quando entro nel portoncino verde della
Comunità di San Benedetto al Porto. Cinzia, la segretaria, mi fa accomodare nel piccolo studio di Don Gallo: «apriamo la finestra che questo odor di sigaro ci intossica tutti. Scusa sai, Andrea odia far aspettare la gente, ma è arrivato un suo amico all'ultimo momento».

Entra aria fresca mescolata al rumore del traffico che ricopre la sopraelevata e all'odore del porto a portata di sguardo. Cinzia è una ex tossicodipendente che sta con Don Gallo da ventisei anni.

«Allora sono qui, cosa vuole lei?». La domanda arriva diretta e cordiale, un po' ruvida, e tradisce l'indole di chi è abituato a parlare senza peli sulla lingua, da sempre.
Don Gallo mi parla del suo ultimo libro, quello che, a detta di Cinzia, rispecchia meglio la personalità del suo autore. Angelicamente anarchico (Mondadori, 14 euro) è un'autobiografia, con prefazione di Vasco Rossi, che verrà presentata mercoledì 6 aprile alle ore 17 al Teatro Modena. È una raccolta di episodi di vita vissuta, idee, riflessioni, ritratti di personaggi noti e di persone comuni o ai margini, una panoramica su ciò che significa "essere Don Gallo".

«Non l'ho mica deciso io di scrivere questo libro. È quello della Mondadori che si è messo questa idea in testa e mi ha seguito per due anni. Si chiama Andrea anche lui e adesso siamo diventati amici: ha raccolto un malloppo di cose scritte o dette da me e poi mi ha spedito tutto cinque mesi fa», spiega Don Gallo. «Nella vita mi hanno apostrofato in ogni modo, da chierico rosso a prete comunista, ma l'appellativo che sento più mio l'ha trovato un regista argentino che era ospite con me da Costanzo: angelicamente anarchico. Ho vissuto una svolta epocale della cultura della pace essendo discepolo prediletto di Padre Balducci, fondatore dell'Università della Pace. Il terzo millennio è dominato da grandi contraddizioni: dobbiamo fronteggiare la minaccia ecologica, il problema di un'Europa che si chiude all'immigrazione e di un occidente alla ricerca di un nemico sempre nuovo da combattere. E l'unica strada è dire basta alle armi. Pensa che mi sono venuti a trovare i registi Mario Monicelli ed Ettore Scola, tutti e due per pormi la stessa domanda: riusciremo a sradicare nelle nuove generazioni l'assenza di futuro?».

Don Gallo mi parla al di là della scrivania, con un mezzo sigaro toscano in bocca, che riaccende di tanto in tanto.

«Penso che la fede cristiana non vada identificata con l'ordine politico, la Chiesa non deve sostenere il potere. Così facendo si rischia di andare verso uno stato confessionale e sfociare nel fondamentalismo. La mia non è una scelta ideologica, semplicemente scelgo di essere discepolo di Cristo, scelgo i poveri, scelgo una giusta laicità, ovvero una dimensione in cui tutti possano sentirsi rappresentati indipendentemente dalla cultura, dall'etica e dalla fede che hanno fatto propria. Evangelizzare significa rinunciare ad imporre il cristianesimo con la politica».

Una voce fuori dal coro quella di Don Gallo, una voce che non conosce mezzi termini né fumosi giri di parole.
«La Chiesa di oggi? È agonizzante come lo è stato il suo papa. Giovanni Paolo II ha fatto grandi cose per quanto riguarda la pace ma non ha affrontato temi importanti quali contraccezione, celibato, ruolo femminile. Ma cosa scegliamo, una Chiesa-comunione o una Chiesa-gerarca? Gli strumenti per trovare le soluzioni li abbiamo già, basta riprendere i testi del Concilio Vaticano II che sono tuttora validi. Per quel che riguarda la morte del papa, sarebbe il caso di fare silenzio; qualcuno una volta ha detto: "la persona umana non deve essere disturbata da nessuno quando prega, quando fa l'amore e quando muore". È il caso di smetterla con questo assurdo bombardamento mediatico».

Positivo è invece il giudizio sui recenti cambiamenti della città: «Genova è una nobile decaduta che sta riscoprendo il gusto della partecipazione politica e i risultati delle scorse elezioni sono un segnale positivo in questo senso: il cittadino cerca di uscire dal ruolo dell'eterno aspettante e accetta di mettersi in gioco, di aprirsi, di essere solidale. Vorrei che ogni genovese dicesse al mattino: "buon giorno Genova: cosa posso fare di buono per te?"».

Don Gallo, arrivato alla sua settantaseiesima primavera, non si arrende e continua a combattere con coerenza per costruire un'alternativa allo stato attuale delle cose, cercando di trovare un equilibrio tra libertà e uguaglianza. A questo proposito voglio concludere con un suo pensiero, tratto dal libro Angelicamente anarchico:

Padre Turoldo ha scritto: "è una fatica divina essere umani tutti i giorni". In molte occasioni il dolore accompagna la nostra vita. Io credo nel diritto alla "non sofferenza". Chi soffre deve reagire invece di arrendersi. Più Vangelo che Croce, nel segno del riscatto dell'Uomo e contro la rassegnazione.



'A Lanterna, il ristorante di Don Gallo

La redazione di mentelocale.it a tu per tu con don Andrea. Si è parlato di donne prete, testamento biologico, privatizzazione dell'acqua. I punti di vista di Laura Guglielmi, Francesca Baroncelli e Luca Giarola


Questo è il racconto di una cena con Don Gallo. Laura Guglielmi, Francesca Baroncelli e Luca Giarola (direttora e redattori di mentelocale.it) vanno a cena all'osteria 'A Lanterna, in via Milano. La serata è di un'intensità tale che vengono fuori tre racconti che rispecchiano le impressioni di tre persone diverse. Leggete pure fino in fondo e perdonate le eventuali ripetizioni.







Genova, 14 maggio 2010





Se vuoi dare il tuo 5 x mille alla Comunità di San Benedetto al Porto, occorre indicare il codice fiscale dell'associazione, che è: 02471280103

Fresco in libreria il nuovo libro di don Gallo, Così in terra, come in cielo (Mondadori, 17 Eu, 135 pp): la sua cattedrale è la strada, i suoi insegnanti prostitute, barboni, tossici, tutte quelle vite perdute che sono anime salve. Don Andrea Gallo è da cinquant'anni un prete da marciapiede, da trentanove il fondatore della Comunità di San Benedetto al Porto di Genova, che accoglie chi ha bisogno e chi vuole trovare un punto da cui ripartire a nuova vita. Con Cosi in terra, come in cielo don Gallo racconta la sua personale saga accanto agli ultimi, i suoi dissensi da una Chiesa che pure ama e a cui sente di appartenere, sviscera con ironia e preparazione le sue posizioni ribelli su temi quali il testamento biologico, l'immigrazione, la liberalizzazione delle droghe, l'aborto. Nel suo camminar domandando fa bizzarri incontri con monsignori, politici, transessuali, giovani inquieti, zelanti fedeli che non credono e atei che invece sperano, artisti come Vasco Rossi e Manu Chao. Lui, ottantaduenne che viaggia in direzione ostinata e contraria e che nonostante i molti meriti resta orgogliosamente un prete semplice, sgrana il rosario laico di Fabrizio De André, raccoglie le storie di bassifondi e vicoli che tanto somigliano a quelle delle Scritture, cerca l'efficacia storica del messaggio evangelico e impasta mani e cuore nelle realtà più dolorose, lavorando senza risparmiarsi affinché questa terra diventi cielo. Un prete prete, anarchico, discusso, amatissimo. [ibs.it]

Non è un ristorante come tutti gli altri A Lanterna, è un’utopia. Fondato da don Gallo e dalla Comunità di san Benedetto più di trent’anni fa, è gestito da persone che hanno vissuto storie difficili e che, incontrando il mitico don, sono riusciti a dare una svolta alla loro vita. Lui non si ricorda neanche quanti ragazzi siano passati da lì, forse duecento. Il punto fermo è Ina la cuoca, dietro ai fornelli dal primo giorno: «Andrà in pensione alla fine dell’anno», ci racconta don Gallo un po’ preoccupato, «Il progetto è partito con trenta milioni che ci ha dato la Comunità Europea insieme al Gruppo Abele di don Ciotti. Era il 1979».
Ne sono passati tanti di anni ed è una bella soddisfazione avere aiutato così tante persone. Qualcuno l’ha combinata grossa: «Eh, sì. Un paio di volte i ragazzi sono scappati con la cassa», racconta il don, «ma è da cinque anni che non succede più». D’altra parte non c’è un padrone che esige il suo profitto. Il ricavato va direttamente alla comunità e per pagare gli stipendi. Ed è un miracolo che il ristorante sia sopravissuto per tutti questi anni, sfornando piatti di così alta qualità. Tra i miei preferiti della serata, la torta di asparagi, le cozze con un sughetto delizioso, lo spada tenero tenero, e la coppa fantasia, con una crema da leccarsi i baffi. Non sono esperta di cucina, ma mangiar bene mi piace proprio. In più, tutti i piatti mi sono parsi leggeri e poco grassi. Ho un metodo che ora vi confesso per verificare quanto sia pesante il cibo di un ristorante. Mi peso la mattina prima e quella dopo. Ebbene, avendo mangiato sei assaggi di antipasti, due primi, tre secondi (vedi menu nella foto gallery), tre assaggi di dolci, la mattina dopo non avevo preso neanche un etto. Un metodo poco scientifico forse, ma ve lo dico così per farvi un’idea.

Quindi
un ristorante dove bisogna andarci, anche perché i vostri soldini non vanno ad un ristoratore come tanti, ma servono per aiutare una comunità che ha tolto centinaia di ragazzi e ragazze dalla strada. E che continua a farlo.
Bene, noi abbiamo avuto un privilegio che non capita certo agli avventori comuni, il mitico don ha accompagnato la nostra cena, mangiando a quattro palmenti e bevendo pure lui vino rosso. Perché in qualunque modo la pensiate,
è un privilegio starlo a sentire. È un uomo buono, generoso, magari un po’ egocentrico, ma se non fosse così non sarebbe don Gallo. Ci ha intrattenuto per più di quattro indimenticabili ore, e a mezzanotte e mezza noi di mentelocale eravamo stremati, lui era fresco come una rosa. Dove la prende tutta questa energia quest’uomo che ragazzino certo non lo è più e che ha già compiuto ottant’anni? Allora c’è da crederci che Dio c’è, e che sta dalla parte degli umili, come dice sempre lui.

Lo so, volete sapere cosa ci ha detto don Gallo in queste quattro memorabili ore. Ebbene
volete leggere un articolo o un romanzo? Per ora, posso scrivere un articolo, per il romanzo mi ci vuole un po’ più di tempo. Sollecitato da Francesca Baroncelli, intervistatrice di punta di mentelocale, ha cominciato a parlare di donne prete, di celibato dei preti e di maternità: «Non è possibile che ogni volta che una donna fa l’amore, debba fare un figlio. Gesù mica la pensava così». Poi passa al testamento biologico ed eutanasia, a Peppino Englaro, suo amico, a Welby: «Mia mamma mica ha voluto nessun tubo o tubicino, nessuna tortura, solo un bicchiere di moscato e se n’è andata via felice, come una candela che si spegne. Ha detto, ciao ora me ne vado in paradiso».
Ora racconta di quando era bambino, di quanto facesse disperare sua mamma, a scuola non sopportava il grembiule e la cravattina: «Mio fratello invece lo chiamavo
precisini, per mia mamma era lui che doveva fare il prete, mica io». La Resistenza e la dottrina di Don Bosco gli hanno poi fatto scegliere la strada della Chiesa.
«Però non ho fatto una gran carriera come prete». «Ma come? - un po’ gli dico e un po’ penso - dopo il papa sei l’ecclesiastico più conosciuto in Italia, rompi sempre le scatole, vai in prima pagina, ti invitano in tante trasmissioni. E nessuno è mai riuscito a farti stare zitto una buona volta. Vasco e Piero Pelù pendono dalle tue labbra. Sei stato amico di De Andrè. Non avrai fatto carriera, ma famoso lo sei», mi guarda sornione, con il suo colbacco nero ben calcato sulla testa. Se l’è tenuto per tutta la cena.
La cosa che più lo preoccupa è
la privatizzazione dell’acqua: «Ragazzi dovete firmare contro, in cima a via Venti raccolgono le firme. È la battaglia più importante per la democrazia. L’acqua è un bene di Dio, quindi di tutti».
Non naviga in rete, ma gli interessa lo strumento. Domenico stampa quello che il don vuole leggere: «La libertà di pensiero ormai la trovi lì, in internèt (con l’accento sulla seconda e). Ci trovi tutto», mi dice. Mi chiede di mentelocale, gli racconto che sì, che gli editori ogni tanto rompono come tutti i proprietari, ma che non condizionano noi giornalisti sui contenuti, che siamo liberi di scrivere quello che vogliamo: «Un bene raro di questi tempi. Laura, tieni duro con sta specie di papiro». «Sono dieci anni che tengo duro», penso. E con questa immagine in testa che paragona le nostre pagine web ai geroglifici, ce ne andiamo a casa sazi di cibo, vino, ma soprattutto di parole e pensieri. Le parole la notte, tanto per ricordare il titolo di un libro del caro amico Francesco Biamonti.
Laura Guglielmi

Può il racconto di una morte trasformarsi in una romantica poesia? Può. È successo una serata in osteria, di fronte a un piatto di linguine al pesto.
«Un giorno mia mamma ha chiamato a sé me e mio fratello. “Parto”, ha detto. Ma dove voleva andare con i suoi novantanove anni? Lei ha risposto puntando il dito indice verso il cielo. Il paradiso non era più così lontano e la mamma aveva deciso di prepararsi al meglio al grande passo, l’ultimo. Ogni giorno, dopo il solito caffè, si sdraiava supina sul letto, chiudeva gli occhi e aspettava. E noi figli lì con lei, a guardarla dormire. “Mamma, vuoi un bicchiere d’acqua?”, le ho chiesto un giorno io, che ero sempre stato il più vivace. Lei, senza mai aprire gli occhi, ha preferito rispondere con una smorfia. “Mamma”, ho insistito, “forse preferisci un bicchiere di bianco?”. La smorfia si è piegata verso l’alto e lei ha aperto un occhio e chinato la testa. “Perché no?”, sembrava dire. Poi ha richiuso gli occhi, questa volta per sempre».
Quel figlio disordinato e burlone oggi è uno dei preti più amati e discussi in Italia. Quella sera in osteria Don Gallo era seduto di fronte a me e, mentre raccontava questa storia intima e commovente, cercava il mio sguardo. Del suo mi ha colpita l’intensità. E la bontà.
Il prete che ha scelto di vivere per gli ultimi aveva invitato noi della redazione di mentelocale.it nel suo ristorante. E quando dico suo intendo dire della Comunità di San Benedetto al Porto. I ragazzi che lavorano all’Ostaria Marinara A’Lanterna nella comunità hanno trovato l’affetto e la sicurezza di cui avevano bisogno: ex tossicodipendenti, ex alcolisti, ragazzi e ragazze che hanno lasciato la strada. «Certo, a volte capita che qualcuno fugga dal ristorante con la cassa», scherza Don Andrea, con il tono di chi certe cose le aveva già messe in conto.
L’osteria di via Milano, a pochi passi dalla Lanterna, è aperta da 31 anni. E da ventinove Pellegrina, detta Ina, ne è la cuoca ufficiale. Le sue specialità marinare ci hanno deliziati: dalle acciughe marinate (8 Eu) al carpaccio di spada affumicato con rucola e grana (8 Eu), fino al salmone marinato (6 Eu), la torta di asparagi (5 Eu), i bocconcini di spada in agrodolce (8 Eu) e il misto della casa (15 Eu).
Ina ci ha proposto due primi piatti: taglierini al pesto (9 Eu) e linguine misto mare (9 Eu). Poi via con i secondi - e già io, Luca e la capa Laura boccheggiavamo, ma da bravi giornalisti curiosi abbiamo assaggiato proprio tutto - dalla tagliata di spada con rucola (16 Eu) alle cozze al pomodoro (12 Eu), fino al fritto misto (15 Eu).
La cena si è conclusa con i dolci della casa, davvero da non perdere: la coppetta fantasia (4 Eu) ha tra gli ingredienti il pan di spagna, la crema pasticcera e la frutta fresca; e ancora il semifreddo all’amaretto e cioccolato (5 Eu) e la panna cotta con caramello (4 Eu), «cucinata seguendo una ricetta segreta, che non conosco nemmeno io», commenta Don Gallo.
«Don Andrea, quali sono i tuoi piatti preferiti?», gli ho domandato incuriosita.
«Se non ami le acciughe sotto sale, con olio e origano, non sei genovese», ha esordito lui con il solito piglio deciso, «questo era il piatto preferito dai marinai durante la navigazione. Ma mi piacciono anche i ravioli a o tocco, le trenette al pesto, patate e fagiolini. A proposito, a Mignanego noi della Comunità coltiviamo il pesto Dop».
Don Gallo preferisce i piatti poveri della tradizione genovese: «non posso fare a meno del minestrone, dei gianchetti e della frittura di pesce. E il venerdì si mangia lo stocche, bollito o accomodou».
Francesca Baroncelli



 
Tra un boccone e l'altro sorseggia un po' di vino rosso e parla. Parla tanto e di tutto. Passa da un argomento all'altro, e di cose da dire ne ha eccome. Don Andrea Gallo ci accoglie nel suo ristorante, quell'osteria marinara 'A Lanterna che ha messo su nel 1979 per dare una nuova opportunità alle persone della Comunità di San Benedetto al Porto. Lui, agli emarginati, vuole un bene dell'anima. E loro ricambiano con un affetto paterno. Lo si vede da come si guardano: la cuoca Ina, l'aiuto cuoca Eleonora e il cameriere Fabio lo salutano gridando un semplice Ciao Gallo, ma è nei loro occhi che si vede la gratitudine per averli salvati da un futuro che poteva essere terribile.
In pochi minuti Don Gallo diventa Andrea. Ci sediamo a tavola e gli diamo del tu, come fossimo vecchi amici. Quando arrivano gli spaghetti al pesto lui li taglia fini fini e li mangia lentamente, e fa lunghe soste che si trasformano in pozzi di memoria. Racconta come tutto l'arredamento dell'osteria sia stato recuperato da materiale di scarto. Mi guardo intorno e vedo oggetti che provengono probabilmente da qualche nave dismessa: appesi alle pareti ci sono assi di legno con scritte di chiara impronta marinara e piatti di ceramica. C'è pure uno stendardo con la croce di San Giorgio e, nell'angolo, una credenza che contiene una decina di bottiglie di vino di chissà quanti anni fa. 'A Lanterna è un posto che sa di storia. I muri di pietra, racconta don Andrea, sono vecchi di duecento anni almeno, e sono riemersi raschiando via diversi strati di intonaco.
Cenare con Andrea è un'esperienza che non si dimentica. Snocciola un aneddoto dopo l'altro. Parla di sua madre, classe 1895, che ha visto con i suoi occhi la storia del Novecento: quando lui era un bambino la faceva tribolare e lei lo chiamava birbante. E così lo ha chiamato fino alla fine, quando si è spenta serenamente all'età di 99 anni. Cita Don Bosco come suo maestro spirituale e pochi minuti dopo gli amici Vasco Rossi e Piero Pelù. Rivela che la mostra sul suo amico Fabrizio De Andrè a Palazzo Ducale non è neppure andato a vederla.
Quando smette di mangiare, il don tira fuori un sigaro dal taschino. Lo tiene tra le dita, tra poco lo accenderà. Finito il vino, si fa portare una tazza di té. E mentre sorseggia mi fa una tenerezza immensa.
Luca Giarola



Il fondatore di San Benedetto protagonista di una mostra fotografica allo Studio 28 di Milano. La testimonianza di Giovanni Sabelli Fioretti







di Giovanni Sabelli Fioretti



Una vera icona del mondo pacifista, un prete da marciapiede, predicatore gradito più nelle piazze che nelle chiese: Don Gallo…buon compleanno Andrea! (nda: quest’anno ricorre il suo ottantesimo compleanno).
Accusato da subito di essere comunista, le accuse si moltiplicarono in breve tempo e questo sarebbe stato il motivo per cui la curia decise il suo allontanamento dalla parrocchia del Carmine già nel 1970. Per approdare a San Benedetto al Porto dove ha fondato la comunità omonima. Sempre "viaggiando in direzione ostinata e contraria" senza dimenticare il suo essere prima di tutto un prete: tutto trent'anni fa, quando ha iniziato, dormendo in un sacco a pelo, a stare vicino alla gente da marciapiede.
La fede non è secolare, è un dono, è di chi la accoglie. Don Gallo infatti è un uomo di fede proprio perché è un uomo che da sempre «cammina con gli ultimi» così come Gesù ha sempre predicato. Ci ricorda in continuazione ciò che Gesù dice: sono venuto servitore e non per essere servito.

La foto che lo ritrae durante la consueta vestizione prima della messa nella delicata penombra, fa trapelare un senso di intimità con la propria fede: una sensazione leggera di pace interiore di un uomo che ci rende difficile immaginarlo altrettanto infervorato e appassionato rivendicatore di diritti come quando difendeva la legge Merlin contro la Santanché o capace di fumare uno spinello di protesta nel centro di una piazza.

Forza determinazione sfrontatezza. Ancora una volta l’espressione dell’impegno di fede nel senso più puro, dell’impegno deciso di camminare insieme ai tossici, alle prostitute, ai deviati, ai balordi, ai border line, ai migranti. Ma anche impegno di laicità: da sempre Don Gallo è anche sostenitore di una vera laicità tanto da aver proposto di far diventare una preghiera i primi dodici articoli della nostra Costituzione. Così nessun problema a mischiare sacro e profano. Essere comunista e, al tempo stesso un prete di don Bosco: combustione moderna, necessaria!

Don Gallo non si limita a predicare dal pulpito, ma pretende di praticare ciò che dice e invita i fedeli a fare altrettanto: scendere nelle piazze! Il suo intento è animare la crescita dell'umanità lungo l'asse dei valori democratici, fra cui il primato della coscienza, il pluralismo, l'etica della responsabilità. Ed è per questo che è fortemente sostenuto dalle star del mondo dello spettacolo e della politica: la foto con Bertinotti che gli chiede di capeggiare la lista della Sinistra Arcobaleno in Liguria; al concerto dei Subsonica dove insulta i finanzieri; l’abbraccio con Moni Ovadia secondo il quale Don Gallo rischia di sembrare la resurrezione di Gesù.
Grande Il Gallo (come lo chiamano i suoi ragazzi) mastica con amarezza il suo immancabile sigaro toscano. Sincero, schietto, aperto. Lui è così: o lo ami o lo odi. Don Gallo è venuto servitore, non per essere servito.